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venerdì 27 gennaio 2017

IL MOSTRO DI FIRENZE


Il nostro Paese, l’Italia, non è privo di fatti di cronaca misteriosi e inquietanti. Questa è la storia di un assassino che divenne famoso per il suo terribile modus operandi: egli mirava sempre a giovani coppie, uccidendole a sangue freddo a una distanza ravvicinata con una Beretta calibro 22 e mutilava gli organi sessuali della donna. Questo killer è stato il presunto responsabile di 16 omicidi avvenuti tra il 1968 e il 1985: stiamo parlando di quello che oggi è conosciuto come il mostro di Firenze.

21 agosto 1968. È mezzanotte. In segreto due amanti, Antonio Lo Bianco di 29 anni e Barbara Locci di 32, appartati all’interno della macchina del giovane, sono intenti in preliminari amorosi. Sul sedile posteriore dell’auto dorme Natalino Mele di 6 anni, figlio di Barbara e di suo marito, Stefano Mele. Una figura misteriosa si avvicina all’auto senza che la coppia se ne accorga ed esplode otto colpi di pistola da distanza ravvicinata; quattro colpiscono l’uomo e quattro la donna. Le indagini successive recupereranno solo cinque bossoli di una Beretta calibro 22. Poche ore dopo il piccolo Natalino suona alla porta di una casa ad oltre due chilometri di distanza da dove era parcheggiata l’automobile. Il proprietario che era sveglio si affaccia alla finestra e scorge il bambino che dice: “Aprimi la porta che ho sonno e dopo riaccompagnami a casa perché mia mamma e lo zio sono morti in macchina…”. Questo è quello che anni più tardi sarà reputato come il primo assassinio del mostro di Firenze anche se nel frattempo in carcere è finito Stefano Mele, condannato a una pena di 14 anni nonostante le molte incongruenze. È il primo delitto di una lunga e sanguinosa serie, infatti passarono ben sei anni prima che il misterioso assassino colpisse ancora.

1974. Le vittime sono ancora due giovani, una coppia: Pasquale Gentilcore e Stefania Pettini di 19 e 18 anni. I colpi esplosi sono ancora otto, cinque verso l’uomo e tre verso la donna che tuttavia non la uccidono. Stefania viene trascinata violentemente fuori dall’auto, non poteva fuggire a causa delle profonde ferite alle gambe causate dai proiettili. Viene infine uccisa con tre coltellate allo sterno ma l’assassino non si accontenta, infatti la colpisce con brutale ferocia altre 96 volte. Infine l’assassino le penetra la vagina con un tralcio di vite, particolare che fece pensare a un qualche rito esoterico. Il mostro di Firenze, nome affibbiatogli dai media, cominciò a guadagnare la sua notorietà il 6 giugno 1981, dopo che i corpi del 30enne Giovanni Foggi e della sua fidanzata Carmela di Nuccio di 21 anni, vennero trovati vicino alla loro auto nei pressi di Mosciano di Scandicci, in provincia di Firenze. I due si conoscevano da pochi mesi ma avevano già programmato di sposarsi, probabilmente avevano dei grandi progetti per il futuro, progetti che vennero distrutti, ancora una volta, da otto colpi di pistola fatali, tre a Giovanni e cinque a Carmela, mentre erano ancora in macchina. Un particolare che era già avvenuto e che si ripeterà anche in alcuni omicidi successivi è che vennero trovati meno bossoli di quelli effettivamente usati. A quanto pare all’assassino non bastò aver semplicemente ucciso i due giovani dato che infierì sui cadaveri con colpi di coltello, inoltre trascinò la donna poco distante dall’auto, recise i suoi jeans e per mezzo di tre precisissimi fendenti ne asportò interamente il pube. I corpi dei due giovani vennero rinvenuti il mattino dopo e la polizia non poté fare a meno di notare le analogie con i due duplici omicidi avvenuti nel 1968 e nel 1974. La polizia cominciava a rendersi conto di aver a che fare con un serial killer.

Gli investigatori inizialmente sospettarono di Enzo Spalletti, un autista di autoambulanze che era conosciuto per essere un guardone, la cui macchina era parcheggiata vicino alla scena del crimine. Quando gli agenti della polizia lo interrogarono, diede prima risposte poi dettagli inerenti al delitto che però non erano ancora stati divulgati dalla stampa: dunque venne arrestato. Tuttavia, mentre l’uomo era ancora in carcere, un nuovo efferato omicidio portò la polizia a credere di aver arrestato l’uomo sbagliato. Le vittime sono ancora una giovane coppia in auto: Stefano Baldi di 26 anni e Susanna Cambi di 24. Anche loro avrebbero dovuto sposarsi entro pochi mesi ma la sera del 23 ottobre del 1981 non tornarono a casa. Ancora una volta colpi provenienti da una Beretta calibro 22, ancora una volta vengono ritrovati meno bossoli di quelli effettivamente usati e ancora una volta alla ragazza è stato escisso il pube. La polizia brancolava nel buio e otto mesi dopo ci fu un altro omicidio, il quinto! Questa volta il delitto si differenzia dai precedenti in quanto il luogo in cui avviene l’aggressione non è appartato, inoltre non viene eseguita l’escissione degli organi sessuali femminili. Le vittime sono Paolo Mainardi, di 22 anni, e Antonella Migliorini di 19. L’assassino sopraggiunge favorito dall’oscurità ed esplode alcuni colpi verso la coppia. La ragazza muore sul colpo mentre Paolo viene solo ferito e riesce a fuggire, tuttavia in preda al panico non controlla la macchina che sbanda e finisce fuori strada. Un colpo di fortuna per l’assassino che avvicinandosi all’auto fredda il giovane. Quando viene scoperto l’omicidio, Paolo respira ancora e viene immediatamente trasportato all’ospedale più vicino dove morirà il mattino seguente. Qualche giorno dopo arrivò alla polizia una lettera anonima che recitava: “Perché non andate a rivedere il processo di Perugia contro Stefano Mele?”. Copn tutta probabilità, il messaggio faceva riferimento al primo omicidio avvenuto nel 1968 in cui era stato processato e condannato Stefano Mele, evidentemente l’assassino si stava prendendo gioco di loro.

L’ondata di omicidi è incessante: il 9 settembre 1983. Avviene l’omicidio di Horst Wilhelm Meyer e Jens-Uwe Rüsch, due turisti tedeschi di 24 anni. 29 luglio 1984. Vengono uccisi Claudio Stefanacci e Pia Rontini di 21 e 18 anni. Questa volta un particolare raccapricciante sta nel fatto che l’assassino abbia asportato il pube della donna mentre era ancora in vita, seppur in agonia. 7 settembre 1985. Avviene l’ultimo omicidio, vengono assassinati Jean-Michel Kraveichvili e Nadine Mauriot, ragazzo e ragazza di origini francesi. Stesso modus operandi dei delitti precedenti. A seguito di otto duplici omicidi avvenuti nell’arco di quasi venti anni, gli investigatori non erano ancora in grado di trovare il vero colpevole. Vennero interrogate oltre 100.000 persone nella speranza di raccogliere qualche tipo di prova. Le indagini portarono alle porte della casa di Pietro Pacciani, un contadino che nel 1951 venne arrestato per aver ucciso l’uomo che aveva trovato a letto con la sua fidanzata. L’uomo era stato accusato più volte di stupro. Pacciani venne rilasciato nel 1964 dopo aver scontato 13 anni di carcere e gli investigatori credettero che l’uomo ancora a piede libero fosse tornato a commettere violenti omicidi. Durante un processo nel 1994, il giudice condannò Pacciani per 14 delle 16 accuse di omicidio, ma nel 1996 una corte d’appello ribaltò la condanna citando la mancanza di prove. La polizia, nel vano tentativo di trovare l’assassino, iniziò a sviluppare una teoria alternativa: rituali satanici. Agendo su questa convinzione, gli investigatori conclusero che due amici di Pacciani, Mario Vanni e Giancarlo Lotti furono complici nei crimini e che commisero gli omicidi al fine di ottenere un qualche tipo di potere dagli organi sessuali delle vittime durante i loro culti. Pacciani venne tenuto in prigione per un nuovo processo mentre nel 1997 Lotti e Vanni furono condannati all’ergastolo pur avendo pochissime prove a sostegno delle rivendicazioni. Pacciani morì di arresto cardiaco nel febbraio del 1998, prima che fosse in grado di affrontare l’ennesimo processo e Lotti morì in carcere quattro anni più tardi.


Gli investigatori invertono la rotta nel gennaio del 2004, quando accusarono il farmacista Francesco Calamandrei per aver guidato il culto satanico e l’allora giornalista de La Nazione, Mario Spezi per colpa delle sue indagini private. Quest’ultimo venne anche arrestato con una serie di accuse pesantissime: dal depistaggio al concorso in omicidio, alla turbativa di servizio pubblico, fino alla calunnia. Anni prima la ex moglie di Calamandrei, si recò dai carabinieri e riferì che quando era ancora sposata con lui, aveva trovato in casa una pistola, precisamente una Beretta calibro 22 e nel frigorifero alcuni macabri feticci, a sua detta provenienti dalle vittime femminili del mostro di Firenze. Ben presto la ex moglie fu vista come una visionaria che voleva solo vendicarsi dell’ex marito che l’aveva lasciata. Aveva forse ragione? A quanto pare no perché il 21 maggio 2008, al termine di un processo con rito abbreviato iniziato nel settembre 2007, Calamandrei venne assolto dalle accuse per mancanza totale di prove. Due anni più tardi, Vanni morì in una casa di cura e se partecipò ai crimini oppure no, è un mistero che si è portato nella tomba. Nel corso degli anni sono state fatte decine di ipotesi su questo macabro fatto di cronaca che ha sconvolto il nostro Paese, solo ipotesi però: nessuna prova concreta. Dunque, il mistero legato al mostro di Firenze, probabilmente, non verrà mai risolto.

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