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mercoledì 30 dicembre 2015

I LOVE SHOPPING


“Un uomo non ti amerà né ti tratterà mai così bene come un negozio. Se un uomo ti sta stretto non puoi cambiarlo entro sette giorni con uno splendido golf di cachemire. Un negozio può risvegliarti la libidine per cose di cui neanche immaginavi di avere bisogno”
È la filosofia di Rebecca, la protagonista di “I love shopping”, il best seller di Sophie Kinsella, da cui hanno tratto un film omonimo. Rebecca passeggia per le strade di New York incapace di resistere al richiamo delle sue vetrine: lo shopping è sexy nella Grande mela, il cliente è monarca assoluto, il negozio è il suo regno, tutto ruota attorno a lui per sedurlo e indurlo a comprare e a ripetere l’esperienza. Deve sentirsi così a suo agio che può comprare un vestito, portarlo a casa, decidere che non gli piace e riportarlo al negozio che, badate bene, gli restituisce i soldi. Non gli da un buono che lo vincola a trovare qualcosa nel negozio stesso entro un determinata scadenza, ma gli restituisce il contante, se ha pagati cash oppure gli versa la stessa cifra sulla carta di credito. Una tranquillità che spinge a fare molto più shopping, poiché l’acquisto non è vissuto come definitivo.

Da noi le cose vanno diversamente. Intanto, se non ci sono difetti, la legge non obbliga i commercianti a cambiare il prodotto né tantomeno a restituire al cliente quanto ha pagato. A volte, durante i saldi, i negozi non sostituiscono la merce scontata o riducono il tempo disponibile per il cambio: possono farlo. Poi, magari, succede che si lamentano se è il cliente a cambiare negozio.

sabato 26 dicembre 2015

CACCIATORI DI DINOSAURI


Secondo il geografo greco Marciano di Eraclea (4° - 5° sec. d. C.) l’attività produttiva di Artemidoro di Efeso ebbe luogo tra il primo ed il quarto anno della 169° Olimpiade, cioè tra il 104 ed il 101 a. C.
Verso la metà del primo secolo a. C., qualche committente (un privato o forse la stessa biblioteca di Alessandria) dovette chiedere una copia del trattato di Artemidoro, Geographia, ma durante la ricopiatura del secondo libro (su un totale di undici) avvenne un incidente: il cartografo copiò una cartina geografica sbagliata che non aveva alcuna relazione con il testo. Cosicché il papiro, che non poteva più essere usato per ricopiare interamente il secondo libro, fu riposto in un angolo della bottega in attesa di altri utilizzi (a quel tempo la carta era preziosa). Passarono ancora degli anni finché quel rotolo abbandonato non fu ripreso da un atelier di disegno, dove i giovani studenti cominciavano ad esercitarsi per le loro “prove d’artista”. Questa “seconda vita” del papiro di Artemidoro, vale a dire i 43 disegni del suo “bestiario”, dimostra con forza il tema della possibile esistenza di “modelli” per mosaicisti e tessitori nell’Egitto greco-romano.
Per la realizzazione di composizioni vaste e complesse, come ad esempio il celebre mosaico di Palestrina (realizzato tra la fine del II sec. a. C. e gli inizi del I), l’artista non poteva fare a meno di modelli figurativi precostituiti, contenuti in raccolte facilmente trasportabili: trattati di zoologia, bestiari o quaderni di modelli che fossero.

Il grande mosaico di Palestrina (5,85 x 4,31 m.) fu realizzato con ogni probabilità dal paesaggista alessandrino Demetrio detto il topografo (che abitava a Roma già dal 165 a. C.) ed è custodito nel Museo Archeologico Nazionale di Palestrina (Palazzo Colonna-Barberini). Esso, confrontato con altri documenti, di epoche precedenti e coeve, ci dà un quadro di quelle che erano le nozioni zoologiche in possesso del mondo antico ed intorno alle quali noi oggi sappiamo ben poco, anche a causa del rogo in cui arse la biblioteca di Alessandria, che cancellò per sempre un immenso patrimonio di dati e conoscenze.
Ora nel mosaico di Palestrina è raffigurata, con ottima precisione, una straordinaria varietà di animali, molti dei quali ben riconoscibili come reali ed attualmente esistenti.
All’estrema destra del mosaico di Palestrina, immediatamente sopra l’immagine di un tempio egizio, che secondo alcuni sarebbe la rappresentazione del tempio di Osiride a Canopo (per altri quella di un tempio menfita, o forse l’errata dislocazione di qualche tempio egizio della Nubia sulle rive del Nilo), vediamo raffigurati due animali molto strani, dai nomi (secondo l’usanza greca si scriveva sempre il nome di un personaggio o di un animale accanto alla sua rappresentazione)  che da soli già dicono qualcosa: uno, quello più in basso, è indicato col termine CROCODILOPARDALIS, mentre l’altro, sopra al primo, CROCODILOSCHERSAIOS.

In effetti, il termine CROCODILO suggerisce che si tratta della raffigurazione di un grande rettile acquatico. E il suffisso PARDALIS? Certamente deve denotare la caratteristica di una pelle maculata, esattamente come avviene per un’altra analoga parola greca, CAMELO-PARDALIS, la giraffa.
Molto più incerto è l’etimo del secondo grande rettile. Infatti il suffisso SCHERSAIOS è di difficile interpretazione, anche se si può ipotizzare un’indicazione di provenienza geografica: SA(I)HO sono infatti alcune popolazioni di origine cuscita stanziate oggi ad Est dei monti Soira, in Eritrea, che, vivendo ancora in Nubia in epoca tolemaica, dovevano necessariamente occupare una zona vicino ad un fiume, presumibilmente il Nilo. Certamente non è un caso che i cacciatori raffigurati nel mosaico davanti ai due animali siano proprio nubiani.
Ma potevano esistere grandi rettili d’acqua con la pelle maculata? Sì, si tratta di una delle due grandi famiglie in cui sono stati divisi i plesiosauri, e cioè gli elasmosauri.
Non c’è da meravigliarsi: è già successo in passato che animali ritenuti estinti siano stati, poi, trovati vivi e vegeti in giro per il mondo e nei mari. Nulla quindi può portarci ad escludere che i plesiosauri, ritenuti estinti anch’essi da 65 milioni di anni, siano ancora vivi, (come ipotizzava Heuvelmans) o perlomeno lo erano all’epoca.
È singolare notare che il creatore del mosaico del Nilo di Palestrina, escludendo altre fonti, sia pur attendibili e disponibili, ha voluto escludere ogni suggestione ed ogni cedimento all’ignoto, a ciò di cui non si aveva conoscenza diretta o che fosse comunque estraneo all’ambiente acquatico e terrestre lungo tutto il corso del Nilo.


Se dunque il mosaico del Nilo di Palestrina vuole essere una riproduzione fedele (per lo meno nelle intenzioni) di animali reali ed esistenti sui territori solcati da quel grande fiume, allora devono esistere altri riscontri che riguardano l’esistenza di plesiosauri ed anche di enormi serpenti (di cui troviamo due riproduzioni nel mosaico) in Africa settentrionale. È quello che vedremo in un prossimo articolo posto a corredo del mio racconto “L’anfora”.

domenica 20 dicembre 2015

L'ATOMICA DI HITLER


Nel 1944 i Tedeschi disponevano della tecnologia bellica più avanzata: erano state sviluppate bombe volanti e missili (V1 e V2) ed erano già operativi caccia che potevano viaggiare a velocità doppia rispetto ai velivoli, allora, convenzionali. Inoltre, era in corso la produzione di una nuova flotta di sommergibili lanciamissili.
Ma di tutte le armi segrete in via di sviluppo, la più potente era la bomba disgregatrice. Si trattava di una bomba atomica? Di certo, era un'arma terribile, tanto da spingere Hitler a dichiarare: "Dio mi perdoni gli ultimi cinque minuti di guerra."
Le ricerche dello storico tedesco Rainer Karlsch hanno messo in evidenza che i nazisti realizzarono e sperimentarono un prototipo di bomba atomica alcuni mesi prima degli americani.
 
Il giornalista Luigi Romersa intraprese, su ordine di Mussolini, la ricerca di informazioni riservate sulle armi segrete dei Nazisti. Romersa si recò in Germania nell'ottobre del 1944, dove inizialmente s’incontrò prima con Göbbels, a Berlino e poi con Hitler, a Rastenburg. Successivamente, proseguì la sua visita alla base di Peenemünde dove assistette all'assemblaggio della V2 e conobbe lo scienziato tedesco Wernher von Braun. Nel corso della missione, fu testimone di un esperimento di deflagrazione a terra di un ordigno nucleare sull’isola di Rügen, nel mar Baltico. La sua testimonianza trova  punti di verifica con gli indizi e le prove raccolti dallo storico Rainer Karlsch.
La storia dell'atomica tedesca è stata finora erroneamente incentrata sulla figura di Werner Heisenberg, Premio Nobel, uno dei più importanti fisici tedeschi della sua generazione, ma le ricerche di Karlsch mostrano invece che bisogna rivolgere l'attenzione verso lo scienziato Kurt Diebner.
 
Il gruppo di ricerca guidato da Diebner, al centro sperimentale di Gottow, nei dintorni di Berlino, in gran segreto, riuscì a costruire tra il 1943 e il 1944 un reattore nucleare e addirittura ottenne, secondo alcuni, sia pur per pochi minuti (o ore, secondo altri) una reazione a catena già nell'autunno del 1944.
 Diebner inoltre, nonostante la scarsa disponibilità di materiale fissile, fu in grado di costruire e testare più di un ordigno atomico rudimentale e condusse almeno due test tra la fine del 1944 e la primavera del 1945. Quest’ultimo, secondo testimonianze raccolte, avrebbe avuto un esito drammatico, tipicamente nazista: circa 500 prigionieri sarebbero stati utilizzati come cavie e avrebbero perso la vita.
Non bisogna meravigliarsi, le ricerche di Diebner godevano dell'appoggio di Heinrich Himmler e dell'ufficio armamenti dell'esercito. Miravano alla realizzazione di una testata nucleare destinata ad armare la V2 di Wernher von Braun. Tuttavia, l'ordigno realizzato da Diebner era di scarsa potenza, sicuramente, non era paragonabile alla bomba atomica lanciata dagli Stati uniti sulle città di Hiroshima e Nagasaki.
Il piano strategico tedesco era elementare: sul fronte russo ci sarebbe stata una grande offensiva aerea seguita dal lancio di una bomba atomica quale segnale di monito per gli alleati che, in seguito sarebbero stati invitati ad intavolare trattative di pace.
L'incalzare dell'offensiva alleata su entrambi i fronti (occidentale e orientale) avrebbero costretto Diebner ad abbandonare i suoi progetti che, di fatto, non furono portati a compimento. Non fu quindi possibile produrre le atomiche, sia per la mancanza di tempo, sia per la scarsezza di materiale fissile.
 
La descrizione dell'esplosione della bomba disgregatrice, da parte di Romersa, è compatibile unicamente con lo scoppio di una piccola bomba atomica, ciò è confermato dalle testimonianze di persone che risiedevano non molto lontano dal luogo del test. Inoltre, foto satellitari dell'Isola di Rügen, dove fu condotto il test, mostrano ancora le tracce di un enorme cratere prodotto da deflagrazione atomica.
Un ordigno simile di quello visto da Romersa fu testato nel marzo del ’45 in Turingia, a Ohrdruf, dove un gruppo di ricercatori ha raccolto dei campioni di terreno che confermano la presenza di plutonio e uranio nel terreno.
Inoltre: il 24 gennaio 1946, un pilota tedesco, di nome Ziesser, interrogato dal capitano Helenes T. Freiberger, dell'intelligence americana, rese una descrizione dettagliata del luogo del test nucleare che coincise con le informazioni fornite da Romersa.
Infine, ci sono indizi secondo i quali sia gli americani sia i sovietici si servirono di questi studi per completare le loro ricerche e arrivare alla costruzione del primo ordigno nucleare storicamente riconosciuto.

venerdì 18 dicembre 2015

SCIE CHIMICHE


Le cosiddette “scie chimiche” sono una bufala, in quanto vengono spacciate normali scie di condensazione, generate da fenomeni naturali, per delle fantomatiche scie chimiche rilasciate intenzionalmente. Nonostante che professionisti del settore come, piloti o meteorologi, non credano all’origine artificiale delle scie chimiche, c’è sempre chi sostiene il contrario ma, non si tratta mai di professionisti. Spesso, sono persone che ne parlano senza conoscere affatto l’argomento.
Secondo questi complottisti, le scie chimiche non avrebbero nulla a che vedere con i fenomeni naturali; sarebbero delle emissioni di sostanze chimiche rilasciate intenzionalmente nei cieli di gran parte del pianeta. I gas (o gli aereosol) solitamente bianchi, uscirebbero da erogatori applicati sulle ali di aerei privi di segni di riconoscimento. Si tratterebbe di operazioni militari tenute segrete.
L'emissione di queste sostanze sarebbe dannosa per la salute, in quanto le scie conterrebbero polveri di bario, alluminio o altri polimeri (filamenti di silicio).
Sulle scie si forniscono una quantità di ipotesi, tutte diverse. Si va dall'essere parte dal progetto di difesa satellitare a un  progetto per la modifica del clima (HAARP), passando per ipotesi di guerra chimica e/o batteriologica, al condizionamento mentale ed altro ancora.


In realtà, le scie di condensazione sono linee prodotte dalle emissioni vaporose emesse dai motori degli aerei, sia a pistoni, sia a reazione, che operano ad alta quota, o comunque ad una quota nel quale la temperatura e la conformazione dell’aria, dell’umidità e della temperatura, ne favorisce lo sviluppo spontaneo.
I primi seri studi sulle scie di condensazione risalgono al 1920 e si intensificarono negli anni a seguire durante la seconda guerra mondiale. Dal punto di vista strategico, infatti, le “contrails” (nome tecnico che identifica le scie di condensazione) erano un aspetto altamente negativo che vanificava totalmente l’effetto sorpresa derivante dalla guerra aerea. I bombardieri ad alta quota venivano avvistati con grande anticipo proprio a causa delle scie di vapore prodotte dai loro motori. Questo problema, fonte di numerosissimi studi, non è mai stato risolto, dal momento che esso scaturisce da un evento fisico naturale dei gas caldi e della combustione a cui non è possibile far fronte in alcun modo. Le scie “contrail” sono composte prevalentemente da acqua sotto forma di minuscoli cristalli di ghiaccio. Il motore (parliamo di quello a reazione, il più usato) emette durante il suo funzionamento un grande quantità di vapore acqueo nell’aria circostante. Questo vapore d’acqua è prodotto dalla combustione del carburante. Vengono prodotte, contemporaneamente, particelle infinitesimali (aerosol), che formano un nucleo sul quale possono condensare piccole gocce d’acqua. Le contrails si formano quando queste gocce d’acqua gelano all’istante formando una lunga scia formata da aghi di ghiaccio. La persistenza delle scie dipende dall’umidità atmosferica. Se c’è ne poca, le scie evaporano rapidamente (scie di corta durata); se c’è ne molta, la scia continuerà a crescere (scie persistenti). Queste ultime possono resistere per parecchie ore e possono crescere notevolmente in larghezza e altezza. Possono anche espandersi notevolmente per effetto dei venti alla quota di volo e quando succede, queste scie divengono in seguito impossibili da distinguere da un Cirro naturale.
L’unico “pericolo” tra virgolette rappresentato dalle contrails è riassumibile in due voci:
  • lieve schermatura della luce solare a svantaggio del calore respinto.
  • difficoltà nella navigazione aerea a vista.

Nel primo caso, le contrails, soprattutto quelle che hanno molta persistenza e subiscono un grande dilatazione a causa dei venti in quota, contribuiscono ad abbassare lievemente il livello luminoso del sole sulla Terra. Ma non solo. Esse riflettono meno luce solare rispetto alla quantità di calore che trattengono e il bilancio tra la luce solare che giunge sul pianeta e il flusso energetico uscente risulta leggermente alterato, per cui inducono un aumento della copertura nuvolosa a livello globale che contribuirà al cambiamento a lungo termine del clima terrestre. Non allarmatevi, in parole povere: svolgono lo stesso identico effetto di qualunque altra nuvola di tipo Cirrostatico (tipica nuvola formata da cristalli di ghiaccio, velata e lievemente schermante). Tuttavia, vista l’esiguità delle contrails rispetto all’enormità del cielo, non rappresentano in alcun modo un danno ambientale così catastrofico come si è soliti pensare con troppa leggerezza. Un’industria elettrica funzionante a carbone produce per ogni ora di funzionamento migliaia di volte più inquinamento da gas tossici ed effetto serra di un moderno aeroplano civile.

 
Il secondo punto, quello riguardante la navigazione aerea è del tutto ininfluente ai giorni nostri. Gli aerei di linea non operano in VFR (tranne in casi particolari) bensì in IFR e le contrails sono talmente irrisorie da non essere neppure viste dai “radar meteo” a bordo degli aerei.
A questo punto è doverosa una precisazione di fondamentale importanza:  Le contrails, ossia le scie bianche che vediamo in cielo, non sono fumo! Sono semplicemente nuvole bianche di vapore. La piccola percentuale di fumo di scarico presente in esse non si vede minimamente. Non si commetta, pertanto, l’errore di osservare un aereo ad alta quota e credere che quella scia sia fumo. Il fumo, o gas di scarico dei motori a reazione, lo si può osservare solo recandosi in un aeroporto ed assistendo ai decolli e agli atterraggi dei liners. Noterete che tale fumo (di colore marrone-nero) è molto diradato, tanto che su alcuni aerei propulsi con moderni turbo fan, ad alto rapporto di diluizione, neppure lo si vede.

mercoledì 16 dicembre 2015

CONSIDERAZIONI SUGLI ALBORI DELL’UFOLOGIA ITALIANA


Scriveva Pier Luigi Sani, nel lontano 1974: - le testimonianze U.F.O. italiane non differiscono sostanzialmente da quelle di qualsiasi altro paese del mondo. Il fatto è che, contrariamente a tutti o quasi, i più importanti paesi stranieri, mancava, fino ad oggi, in Italia, una pubblicazione che raccogliesse, con criteri di completezza, l’ampia classifica d’avvistamenti locali. -
E pensare che già nel 1948, negli U.S.A., l’U.S.A.F. aveva dato vita alla prima commissione d’inchiesta (Project Sign) sulle strane “cose” che apparivano nei cieli americani. L’U.S.A.F. pensava di poter risolvere rapidamente il mistero di questi oggetti non identificati, presupponendo che fossero tali solo agli occhi di osservatori casuali e inesperti, mentre l’analisi dei fatti, da parte di personale tecnico qualificato avrebbe dissolto ogni dubbio. Tuttavia, l’identificazione sistematica dei rapporti si rivelò impossibile, tanto che nel 1953 l’U.S.A.F. dovette ammettere di non essere riuscita a spiegare circa il 27% dei casi presi in esame.
Intanto, in Italia, l’interesse del pubblico per gli U.F.O. non superava il livello della momentanea curiosità. Questo era, purtroppo, il terreno su cui cresceva l’ufologia italiana. Perciò, quando un noto studioso straniero chiese agli ufologi (dilettanti) italiani la casistica completa riguardante il nostro paese, nessuno dei gruppi (isolati) fu in grado di fornirli.
Nel Gennaio del 1966 nacque, a Milano, il C.U.N. (Centro Unico Nazionale per lo studio dei fenomeni ritenuti extraterrestri), esso costituì il più importante tentativo di fondare un’ufologia italiana che reggesse a livello internazionale. Fallì nell’obiettivo di divenire una sorta di federazione di gruppi ufologici, tuttavia, divenne il più autorevole tra i tanti centri sparsi per l’Italia.
I gruppi di ricerca sugli U.F.O., sorti fin dal Settembre 1971, per sollecitazione di Dario Spada, di Milano, della redazione de “IL GIORNALE DEI MISTERI” comparvero in ogni parte d’Italia ed erano formati principalmente da giovani. I rapporti sugli avvistamenti, di solito, confluivano al S.U.F. (Sezione Ufologica Fiorentina).
 

IL CASO FACCHINI

Bruno Facchini, operaio, che abitava ad Abbiate Guazzone (Varese) in Via Bainsizza 6, fu avvicinato da Dario Spada e Riccardo Germinario, del gruppo RIGEL 2001. In loro presenza, Facchini, pur con cortesia, ma con un’evidente reticenza rievocò i fatti così come si svolsero quella notte del 24 aprile 1950 in un campo distante circa duecento metri da casa sua. Fu attratto, disse, da uno strano scintillio e visto che era da poco cessato un violento temporale e che in quella località passava una linea elettrica ad alta tensione, il testimone voleva accertarsi che nessun danno fosse stato arrecato e che nessun pericolo incombesse sulle vicine abitazioni. Così decise di recarsi sul posto. Procedeva con precauzione, nel timore che vi fossero fili spezzati a terra. Stava per rientrare verso casa, quando la sua attenzione fu attirata da un più lontano e nuovo scintillio. Giunto fra un palo della corrente elettrica ed un gelso, vide l’ombra scura, di “un’enorme cosa” di forma quasi rotonda.
Appariva come una grossa palla schiacciata e sembrava toccasse terra soltanto con una scaletta posta esternamente, per la quale si accedeva ad una finestra illuminata, rettangolare e con portello aperto. La scaletta era sorretta da due specie di tiranti. La superficie dell’ordigno si presentava “quadrettata da strisce verticali ed orizzontali poste ad intervalli regolari”; attorno vi era una raggiera di tubi simili a quelli delle stufe, raggruppati a tre a tre e sporgenti per una cinquantina di centimetri. Facchini poté intravedere all’interno, per un chiarore che vi si diffondeva, un’altra scala, che conduceva ai piani superiori dell’apparecchio. Alle pareti si potevano notare tubi, bombole collegate in fila fra loro e manometri. L’oggetto di altezza di circa dieci metri e di uno spessore variabile dai quattro ai sei metri (?) fu osservato, per qualche minuto, a distanza ravvicinata: quattro o cinque metri.
All’esterno si videro tre o forse quattro individui. Due, sicuramente, presso la scaletta ed un altro su di una sorta di elevatore meccanico con basamento, colonna allungabile e piattaforma superiore. Quest’ultimo sembrava saldasse un mazzo di tubi esterni ed era lui, quindi, che produceva quello strano scintillio che rendeva illuminata la sezione in riparazione, la quale emanava dei riflessi metallici. Il “saldatore” era munito di scafandro e di maschera, come gli altri tre che, impacciati e lenti, si muovevano intorno allo scafo. Il loro equipaggiamento si poteva paragonare a quello dei palombari. Nello scafandro che alla tenue luce appariva di color grigio scuro, si apriva, all’altezza degli occhi, una specie di “maschera trasparente” che sembrava “contenere del liquido” e attraverso quella s’intravedeva un volto dalla carnagione molto chiara. Dal casco penzolava all’altezza della bocca un tubo di circa cinque centimetri di diametro e lungo approssimativamente trenta, terminante in un bocchettone. Era simile a quelli usati dai piloti d’aereo per l’ossigenazione. Ai lati della testa, il Facchini notò due auricolari simili a quelli dei radiotelegrafisti, ma leggermente più grandi. La statura di quegli esseri era di circa un metro e settanta e nell’aspetto erano simili agli umani.


In un primo momento, il Facchini, pensando di trovarsi al cospetto dell’equipaggio di un aereo sperimentale, in avaria, data anche la vicinanza degli aeroporti della Malpensa, di Vergiate e di Venegono, si fece avanti e chiese, a quella gente, se avessero bisogno di aiuto. Gli “uomini” compirono strani gesti emettendo anche dei suoni gutturali, intelligibili, come una specie di: “gurr... gurr”. L’osservatore ebbe altresì l’impressione che volessero attirarlo all’interno del misterioso veicolo, che intanto cominciò a emettere un rumore simile a quello di una grossa dinamo o di un gigantesco alveare. Fu allora che, dopo aver dato una rapida occhiata al suo interno, dovette convincersi di non trovarsi di fronte a un mezzo terrestre. Preso da un improvviso senso di panico, si dette alla fuga. Aveva percorso appena qualche metro, quando notò uno di quei tizi impugnare un oggetto che portava al collo e che poteva sembrare una macchina fotografica e puntaglielo contro. Si sprigionò un raggio intenso che lo investì colpendolo alla schiena con tale forza, da dargli l’impressione di essere colpito e spinto da una massa d’aria compressa che si abbattesse sul suo dorso con la stessa violenza di un corpo contundente. Il colpo gli fece perdere l’equilibrio e lo scaraventò a terra. Cadendo, andò a sbattere contro una pietra terminale, di quelle usate, nei campi, per stabilire i confini. Dolorante, intontito, spaventato, rimase dov’era, non osando muoversi. Parve, però che le creature non si curassero più di lui, dopo averlo allontanato, così anche se in preda al terrore ebbe modo di continuare ad osservare tutto quello che avvenne. A un certo punto, l’individuo che stava “saldando” sembrò aver finito il suo lavoro. Infatti, scese dall’elevatore, che smontato rapidamente, fu ridotto alle dimensioni di una cassettina e caricato sul mezzo. Anche gli esseri vi salirono e la scaletta portello fu alzata chiudendo ermeticamente l’ingresso. Il rumore, di cui prima si era parlato, sembrò aumentare sensibilmente e con uno “ciaf” simile ad un potente soffio, l’oggetto si mise in movimento, partendo velocissimo verso il cielo e scomparendo rapidamente alla vista dell’allibito testimone, che ripresosi, almeno in parte, dallo spavento, riprese la via di casa. Passò la notte insonne, gli sembrava di impazzire: in effetti, accusò a lungo lo choc.
 
 
Al mattino si accorse di aver smarrito il portasigarette e suppose che gli fosse sfuggito di tasca all’atto della caduta; quindi, tornò sul posto. Poté così rilevare, sul terreno, la presenza di quattro orme circolari, di un metro di diametro ciascuna e poste in quadrato alla distanza di sei metri l’una dall’altra. Frugando tra l’erba, sulla quale notò alcune zone bruciacchiate, trovò e raccolse diverse schegge di metallo, che ritenne dovessero essere i residui del lavoro eseguito da quello che stava sull’elevatore.
Dell’accaduto fu informata la Questura di Varese e furono effettuati sopralluoghi anche da parte di tecnici militari. Alcuni residui dei frammenti metallici furono pure analizzati e definiti metallo antifrizione (bronzo ad alto tenore di stagno), senza peraltro condurre a concreti risultati sulla risoluzione del caso e sulla natura dello strano veicolo.

martedì 15 dicembre 2015

FOO FIGHTERS






A partire dai primi anni quaranta, dei misteriosi fenomeni aerei si registrano sull’intero teatro bellico, dall’Europa all’Estremo Oriente. Protagonisti degli avvistamenti sono i piloti militari di ambedue gli schieramenti, che nel corso delle proprie missioni, scorgono strani ordigni, perlopiù dati da globi luminosi di piccole dimensioni che sovente compiono incredibili e bizzarre manovre attorno o nei pressi dei loro velivoli, evidenziando caratteristiche di comportamento che qualche anno più tardi verranno riscontrate negli UFO, ed apparentemente riconducibili ad un controllo intelligente.


I globi in questione sono soprannominati dai piloti americani, foo fighters, o semplicemente foos, deformazione del francese feu, fuoco. A volte i foos, apparendo dal nulla si affiancano all’aereo, accompagnandolo all’altezza dell’ala per lunghe distanze, per poi sparire a velocità incredibili, altre volte quasi "giocano" con esso, ora avvicinandolo, ora allontanandosi, ora accelerando, ora decelerando improvvisamente, quasi anticipino le manovre del pilota. In tali occasioni, in non pochi casi (altra singolarissima caratteristica più tardi riscontrata nel corso di incontri ravvicinati del secondo e terzo tipo) i piloti lamentano strane anomalie nel funzionamento delle apparecchiature di bordo, ed i misteriosi globi, pur visibili, talora non compaiono sullo schermo radar.
Il fenomeno ufficialmente esplode nel ’44, anche se in realtà non solo sul versante alleato! Quell’anno è come al solito solo una data simbolo.


25 febbraio 1942, Los Angeles: due mesi dopo Pearl Harbor, l’intera città è circondata da batterie antiaeree in previsione di un attacco giapponese, e la notte vige il coprifuoco; poco dopo le h 3:00 del mattino suonano le sirene d’allarme e la contraerea apre il fuoco contro dei velocissimi corpi luminosi provenienti dall’oceano; sulla verticale di Culver city, i riflettori inquadrano questi corpi ed un ordigno molto più grande di essi, ivi sospeso, che pur ripetutamente centrato dai traccianti non riporta alcun danno, e quindi scompare dirigendosi verso Santa Monica.


5 aprile 1943, alcuni piloti americani, in missione fra la Birmania e la Cina riferiscono di essere stati circondati in volo da "oggetti splendenti" e di avere avuto in quel mentre la strumentazione di bordo fuori uso.


14 ottobre 1943, bombardieri americani B17 appartenenti al 348° Gruppo, in rotta su Sweinfurth, vengono investiti da dozzine di piccoli dischi argentei del diametro di una decina di centimetri.


1°agosto 1944, uno strano oggetto ovale, con una scia bluastra, viene avvistato da bombardieri americani B29, nel corso di un azione sugli impianti petroliferi giapponesi a Sumatra.


23 novembre 1944, l’equipaggio di un bombardiere americano in missione verso Mainz, avvista una formazione di velocissimi corpi che emettono luminosità intermittente; la strumentazione di bordo in quel mentre entra in avaria.


27 novembre 1944, un’enorme sfera luminosa viene avvistata da un caccia USAF in volo nei pressi Mannheim; il radar di terra nota tuttavia la presenza del solo velivolo.


28 agosto 1945, è l’episodio più straordinario non tanto per l’avvistamento in sé, ma per il personaggio coinvolto, Leonard Striengfield, futura grande figura dell’ufologia nord americana: un C-46 in volo nei pressi di Iwo Jima, mostra improvvisamente segni di avaria, iniziando a perdere quota; all’esterno si notano tre globi luminosi che viaggiano parallelamente al velivolo.



Avvistamenti di misteriosi oggetti, che però apparentemente si discostano dai foos, riproponendo gli aerei fantasma scandinavi del decennio precedente sono riportati anche dai piloti tedeschi:


marzo 1942, base tedesca di Bank, Norvegia: un oggetto volante fusiforme si avvicina all’aerodromo; decollato un caccia, per intercettazione, l’oggetto scompare ad una velocità incredibile.


dicembre 1943, un oggetto volante cilindrico sorvola le basi tedesche di Helgoland e Wittenberg ad una velocità stimata di 3000 km orari.


febbraio 1944, poligono di Kummerdorf, un oggetto luminoso segue il lancio di un razzo sperimentale, presenti Himmler e Goebbels.


marzo 1944, costituzione della commissione di inchiesta Sonderburo 13, sulla quale nel dopoguerra indagherà il maggiore Keyhoe.


maggio 1944, globo luminoso fotografato da un caccia tedesco su Kaernten, Austria.


settembre 1944, il pilota di un reattore Messerschmidt 262 avvista un corpo cilindrico lungo circa 200 metri, che procede ad una velocità di 2000 km/h.



 La simultaneità di manifestazione di questi misteriosi oggetti sull’intero teatro bellico, protrattasi anche dopo la cessazione delle ostilità, come dimostra l’avvistamento di Stringfield, esclude nettamente che essi potessero rappresentare una sorta di nuova arma. Di più: la saga dei foos si continuerà qualche anno dopo in quella ben più nota dei dischi volanti: nel 1948, il tenente Gorman a bordo del proprio Mustang 51, tenterà invano di inseguire una velocissima sfera; nel 1949 globi di colore verde, detti green fireballs, daranno luogo a massicci avvistamenti nel Sud Ovest degli USA, determinando l’istituzione di una commissione governativa di studio, il Project Twinkle. Anche in tempi più recenti questi oggetti continueranno ad essere avvistati e talvolta filmati, come nel caso della
sfera luminosa comparsa per qualche istante a fianco del Concorde, durante il volo sperimentale del 1974, e poi repentinamente allontanatasi, secondo la stessa dinamica che contraddistingueva il comportamento dei foos.
 

domenica 13 dicembre 2015

GLI UFO DI MUSSOLINI

 

È documentato che nel 1933, in Italia, ci fu un’ondata di avvistamenti di navicelle aliene che portò il governo fascista a interessarsi del fenomeno e ad incaricare degli studiosi per le indagini del caso.
 
Nel Giugno del 1933 un velivolo alieno atterrò (o forse si schiantò) in Lombardia. Della questione, se ne occupò direttamente il Duce che istituì una gruppo segreto di ricerca sui veicoli alieni. Dell'evento, infatti, si occupò il gruppo denominato RS/33 che aveva nell'O.V.R.A. (la polizia segreta fascista) il suo braccio destro. Il gruppo era presieduto da Guglielmo Marconi. Oltre alla tecnologia aliena recuperata nel 1933, fu raccolta e archiviata molta documentazione, comprese foto e filmati di UFO. Gli eventi sono provati da eccezionali documenti dell’epoca, ritenuti autentici e rintracciati solo nel 1996. Si ritiene che l’archivio fosse più ampio: purtroppo, la documentazione raccolta dal team fascista fu requisita dalla GESTAPO per l’avvio di un programma simile nazista. Con la sconfitta della Germania ad opera delle forze alleate e in seguito al disfacimento dello stato nazista, i documenti non furono mai più ritrovati. 
Sono stati rintracciati anche i progetti di un disco volante realizzati, probabilmente, da studi di retro ingegneria, realizzati  grazie al recupero del disco volante osservato nel 1933.
 
Forse proprio partendo da questo studio, Guglielmo Marconi realizzò negli anni successivi, un'arma segreta conosciuta con il nome di "raggio della morte", che aveva la capacità di fermare il funzionamento di qualsiasi veicolo a motore e di qualsiasi apparecchiatura elettrica. Esperimenti segreti, di cui vi è traccia storica, riferiscono di un dispositivo capace di arrestare il motore di auto ed aerei.
Lo stesso Mussolini, intervistato, rilasciò  informazioni su degli esperimenti effettuati da Marconi con il raggio della morte: "sulla strada di Ostia, ad Acilia, fermò i motori delle automobili, delle motociclette e dei camion. L'esperimento venne ripetuto sulla strada di Anzio con i medesimi risultati. Ad Orbetello due apparecchi radiocomandati vennero incendiati a oltre duemila metri di altezza."
L’azione di quest'arma segreta era molto somigliante agli effetti d’interferenza elettromagnetica ampiamente descritti dalle persone che, in automobile, hanno avuto incontri ravvicinati con veicoli alieni. Mussolini rimase affascinato da quest'arma e fece pressione su Marconi affinché la si potesse utilizzare in ambito militare. Marconi, invece, era contrario all'utilizzo bellico della sua invenzione. Morì inaspettatamente, portandosi nella tomba il segreto della sua invenzione (per approfondimenti, si rimanda al post: “Guglielmo Marconi e il suo raggio della mortepubblicato in questo sito).
 
È interessante notare come, già negli anni '20, l'inventore inglese Grindell Matthews realizzò un marchingegno in grado di produrre gli stessi effetti del raggio della morte di Marconi, ma con un raggio d'azione limitato a 18 metri. Fu proprio il limitato raggio d'azione a far bocciare il progetto dal Ministro dell'Aviazione inglese.
Nella seconda metà degli anni novanta, il Consiglio Scientifico dell'Aeronautica Militare Statunitense (AFSAB) divulgò le prospettive di sviluppo dell'American Air Force, con menzione dell'esistenza di armi a microonde ad alto potenziale in grado di bloccare qualunque tipo di motore a combustione, di interferire sui sistemi elettronici degli aerei e di causare interruzioni di energia elettrica. Si tratta certamente dello stesso raggio della morte che Marconi aveva realizzato molti anni prima, probabilmente, partendo da studi di retro ingegneria su veicoli alieni recuperati dopo lo schianto.
 

sabato 12 dicembre 2015

FLIEGENDER SCHEIBEN. Gli UFO di Hitler




Nell'agosto del 1943 perviene nella sede centrale del servizio di informazioni inglese, derivato da una fonte ben introdotta a Berlino, un rapporto dai contenuti piuttosto allarmanti: "Dobbiamo fare in fretta! I nazisti stanno mettendo a punto una terribile arma segreta che potrebbe ribaltare le sorti della guerra".

 




In effetti, circa un anno più tardi, le forze alleate subirono delle perdite di mezzi aerei durante i bombardamenti nei cieli della Germania ad opera di misteriosi oggetti dalla forma discoidale che, libratisi in volo fin sotto le fortezze volanti, emettevano un campo magnetico talmente forte da mandare in blocco i motori dell'aereo vicino, facendolo quindi precipitare. L'arma in questione poteva essere una V-7, più conosciuta come Fliegender Scheiben (disco volante). Si trattava di rivoluzionari aerei discoidali, piuttosto simili ai moderni UFO, per mezzo dei quali Adolf Hitler sognava di conquistare il pianeta. Uno dei primi ingegneri tedeschi impegnati nella costruzione delle V-7 (la V sta per vittoria) fu Andreas Epp, che inventò un gigantesco piatto volante, il modello Omega, con otto eliche e due motori a reazione.


Tale ordigno fu testato nel 1943 a Bremerhaven e raggiunse una velocità di 480 Km/h. Insieme ad Epp lavorarono alle V-7 gli ingegneri Habermohl, Miethe, Schriever e l'italiano Giuseppe Belluzzo, esperto di motori a turbina. Schriever e Habermhol costruirono un velivolo formato da una cabina centrale di pilotaggio circondata da un anello che ruotava ad alta velocità. Miethe e Belluzzo realizzarono, nella base di Bratislava, un massiccio disco di titanio largo 40 metri che, però, esplose in volo durante un collaudo. Complessivamente gli esperimenti dei nazisti sulle V-7 furono classificati come deludenti, eppure verso la fine del conflitto sia russi che americani si diedero un gran da fare per recuperare i velivoli, i brevetti, le carte e gli scienziati che avevano partecipato a queste ricerche segrete. Inoltre esistono numerose testimonianze, da parte di piloti anglo-americani, degli abbattimenti di aerei alleati ad opera dei Fliegender Scheiben. Non una V-7, per quanto ci è dato di sapere, finì nelle mani della CIA o del KGB, infatti le SS riuscirono a distruggere tutto prima di arrendersi agli avversari. Anche a Gory Sowie (Polonia) i tedeschi, che avevano scavato nella montagna il più grande stabilimento segreto per la costruzione dei loro micidiali dischi, fecero esplodere tutto con la dinamite per l'incalzare dei russi. 

 



In ogni caso, gli scienziati tedeschi avevano lavorato ognuno ad una parte del progetto e, singolarmente presi, non erano in grado di ricostruire l'intero brevetto, sia per i russi che per gli americani. Le due superpotenze hanno sempre negato l'esistenza delle V-7, ma già nel 1952 il pilota Schriever indicò alla stampa che aveva partecipato al programma sui dischi volanti del Terzo Reich e che, nel 1944, nei pressi di Praga aveva collaudato con successo la Flug Kreisel (trottola volante). Questo disco, dalla cabina centrale a cupola in plexiglas, volò a oltre 3.000 Km/h. Il Colonnello Philip Corso, già ufficiale dei Servizi Segreti statunitensi durante il secondo conflitto mondiale, dichiarò alla stampa che prima dello scoppio della guerra erano precipitati in varie parti del mondo, tra cui la Germania, degli UFO con i relativi equipaggi alieni.
 



I tedeschi stavano quindi lavorando con intensità sui relitti rinvenuti nel proprio territorio nella speranza di poterli replicare per uso bellico. Questo fu confermato all'ufficiale USA anche dagli scienziati Oberth e Von Braun. Il Colonnello Corso era inoltre a conoscenza di un disco tedesco che era riuscito a volare fino a 3.600 mt di altezza, sottolineando però che i nazisti non erano riusciti a capire in quale modo venivano guidati i velivoli dagli alieni. Attualmente sia i russi che gli americani stanno sperimentando tutta una serie di macchine volanti di forma discoidale, in parte per uso civile, in parte per uso militare.


Le foto pubblicate sono estratte dalle riviste "dossier informare" e "Oltre" e "UFO Contact".
A cura di Silvia e Roberto Matricardi
info@pometia.it

 

venerdì 11 dicembre 2015

IL CASO DI FARA DI CIGNO


 
 Fara di Cigno, sabato 3 Aprile 1948 ore 6:35
 
Il sig. Giuseppe Lanciano, abitante a San Martino in Pensilis, era l’autista del servizio pubblico fra la stazione ed il paese. Si era quindi recato alla ferrovia, distante circa cinque chilometri dall’abitato, per attendere i passeggeri del treno delle sette. Quella mattina era arrivato con quasi un’ora d’anticipo, perciò, ingannava l’attesa passeggiando su e giù per il piazzale prospiciente i binari. Erano le 6:35 quando il cielo, terso e senza nubi, fu animato improvvisamente dalla presenza di un oggetto, il cui aspetto e comportamento erano assolutamente inconsueti. Tanto che, il Lancetti sentì di dover richiamare l’attenzione del capostazione, che stava telefonando.
Una cosa circolare, dall’aspetto di “un ombrello aperto, senza manico”, di un vivo e luminoso colore arancione, procedendo da ovest verso est, con una velocità stimata intorno ai 60 Km/h, si diresse verso una collina (come se volesse atterrarvi) distante non più di cinquecento metri dalla stazione; restando immobile e sospesa nell’aria ad un’altezza di circa dieci metri.
Il luogo, chiamato Fara di Cigno, è vicino al casello ferroviario n. 14.
 
Il veicolo emetteva luci e riflessi multicolori. Tra il luogo dove si trovavano i due testimoni ed il punto in cui l’oggetto si librava, silenzioso e scintillante, non vi erano ostacoli di sorta, né costruzioni, né piante d’alto fusto; il che rendeva l’osservazione, del fenomeno, assolutamente perfetta. l’U.F.O., emetteva anche un esteso fascio di luce bianchissima, che si muoveva a raggiera ed era ben visibile nonostante la luce del sole. I due testimoni avvertirono un senso di calore quando il raggio si diresse verso di loro.
L’oggetto aveva la forma di una “scodella rovesciata” e sulla parte superiore si notava una “coppa” che sembrava trasparente poiché una tenue e vibrante luce argentea sembrava provenire dal suo interno. Le dimensioni apparenti dell’oggetto furono stimate tra i dieci ed i quindici metri di diametro.
Rimase così per circa due minuti, dopo di che, sotto gli occhi attoniti dei due osservatori, dal centro del “disco” uscì una misteriosa figura che calò verticalmente, senza scosse, librandosi nell’aria, sino a toccare terra dolcemente. Aveva un aspetto vagamente antropomorfo. Fu descritto come un grosso fantoccio alto circa un metro e mezzo e vestito di una tuta rigida dai riflessi metallici, con grossi guantoni anch’essi apparentemente di metallo. Aveva due oblò tondi, al posto degli occhi.
 
Il Lanciano ed il capostazione Bavota, impressionati ma per niente impauriti, spinti dalla forte curiosità, corsero verso l’inaspettato ospite; ma non avevano percorso neanche duecento metri, che “il robot” risalì, in verticale, come risucchiato da una forza invisibile; fino a scomparire all’interno della macchina volante. Questa, dopo aver oscillato un po’, si mosse, allontanandosi lentamente, alla stessa velocità con la quale era arrivata; ma, una volta raggiunta una certa altezza, assunse repentinamente un’andatura vertiginosa e (dirigendosi verso l’alto) scomparve agli occhi degli osservatori.
Non fu rilevato alcun rumore, né all’arrivo, né alla partenza di quell’oggetto. Nessun effetto fisico, se si esclude la sensazione di calore, avvertita dai testimoni, nel momento in cui furono investiti dal fascio di luce bianca. Non si avvertirono odori particolari; non furono trovate tracce sul terreno, nel luogo dell’atterraggio.
A parte il legittimo stupore e la forte curiosità, destata nei due testimoni, nessun disturbo fu causato alle persone e non si ebbe a registrare alcun turbamento psichico.
 
Dossier del gruppo O.V.N.I. del 1972
c/o Mario Lanciano Via Marina n.5
San Martino in Pensilis CB

giovedì 10 dicembre 2015

IL NATALE


È giunto il momento di svelare anche i retroscena della data a cui si associa la nascita di Gesù. Preparatevi a fare un viaggetto nel tempo, alla scoperta di una delle feste più antiche dell’umanità.
Letteralmente Natale significa “nascita” ed il termine nacque dalla festività del Dies Natalis Solis Invicti, ovvero il Giorno della nascita del Sole Invitto. Questa festa veniva celebrata, dopo il solstizio d’inverno, nel momento dell’anno in cui la durata del giorno iniziava ad aumentare e dunque quando avveniva la rinascita del sole invincibile contro le tenebre. Secondo gli antichi il Sole si fermava durante il solstizio d’inverno (dal latino solstitium, ovvero sole fermo) e questa loro osservazione derivava dal fatto che nell’emisfero nord tra il 22 e il 24 dicembre il sole sembra effettivamente fermarsi in cielo. In quel periodo, in realtà, il sole inverte semplicemente il proprio moto nel senso della “declinazione” della Terra e a causa di questo Il buio della notte raggiunge la massima estensione e la luce del giorno la minima. Si verificano la notte più lunga e il giorno più corto dell’anno. Subito dopo il solstizio, la luce del giorno torna gradatamente ad aumentare fino al solstizio d’estate dove, ovviamente, accade il contrario.
Visto in questi termini, sembra quasi che il Sole muoia, per poi rinascere (guarda caso) tre giorni più tardi, intorno al 24/25 Dicembre. Questa interpretazione astronomica può spiegare perché il 25 dicembre sia una data celebrativa presente in culture e paesi così distanti tra loro. I nostri antenati tenevano in gran conto l’astronomia, più di quanto pensiamo. L’osservazione del moto solare ha dunque generato in tutti i popoli della terra delle teologie affini, dove un dio, o un eroe, attraversa 12 fasi della sua vita, o viene accompagnato da 12 fratelli, viene ucciso per poi solitamente tornare in vita nell’arco di 3 giorni. Questa è la sorte che l’uomo ha deciso per Mitra, per Osiride e per Gesù.
 Ma come ha fatto, la Festa del Sole, a diventare la nascita di Gesù Cristo? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo ricostruirne la storia.
L’imperatore Aureliano introdusse, ufficialmente, la festa del Sol Invictus (Dies Natalis Solis Invicti) il 25 dicembre del 274, facendo del dio-sole la principale divinità del suo impero e indossando egli stesso una corona a raggi.
Alla base di questa decisione ci fu un misto di coincidenze storiche e valutazioni di opportunità politica. Aureliano aveva da poco sconfitto la principale nemica dell’impero, la Regina Zenobia del Regno di Palmira, grazie all’aiuto provvidenziale della città stato di Emesa. L’appoggio dei sacerdoti di Emesa, cultori del Dio Sol Invictus, ben dispose l’imperatore che, all’inizio della battaglia decisiva, disse di aver avuto la visione benaugurante del dio Sole di Emesa. In seguito a questi fatti, nel 274, Aureliano trasferì a Roma i sacerdoti ed ufficializzò il culto del Sole di Emesa, edificando un tempio sulle pendici del Quirinale, creando anche un nuovo corpo di sacerdoti, detti pontifex solis invicti. L’adozione del culto del Sol Invictus fu vista da Aureliano come un forte elemento di coesione dato che, in varie forme, il culto del Sole era presente in tutte le regioni dell’impero.
Intanto, il Neo-Cristianesimo di Paolo di Tarso iniziò a farsi strada nell’impero Romano, trovando sempre più proseliti. Non ripercorrerò qui l’intera vicenda, basti sapere che alla fine l’imperatore Costantino, nel 330, decretò per la prima volta il festeggiamento cristiano della natività di Gesù che fu fatta coincidere con la festività pagana della nascita del Sol Invictus: il “Natale Invitto” divenne così il “Natale” Cristiano.
Prima di questa decisione, i cristiani usavano festeggiare la nascita di Gesù durante l’Epifania, termine che deriva dal Greco e che significa “manifestazione” di divinità. Infatti, prima del III secolo la natività di Gesù, come la conosciamo oggi, non esisteva affatto e gli scritti su di lui partivano dalla sua manifestazione come dio-uomo, dal battesimo nel Giordano.
Infine la data del Natale, da parte della Chiesa Cattolica, venne ufficializzata nel 337 da Papa Giulio I.
Fu così che il Cristianesimo si sovrappose del tutto ai culti Solari molto più antichi e già esistenti, usurpandone l’iconografia (l’aureola con i raggi del Sol Invictus) ed appropriandosi delle feste di fine anno. Fu fatto perché estirpare queste ricorrenze “pagane” sarebbe stato impossibile, avrebbe potuto fomentare rivolte religiose e tumulti contro il potere Teocratico della chiesa.

mercoledì 9 dicembre 2015

GIACOMO: FRATELLO DI GESU'


Un antico ossario risalente al 63 d.C. è stato scoperto dall'archeologo Andre Lemaire a Gerusalemme. Lo scrigno porta una chiara scritta in aramaico:
“Ya‘akov bar Yohosef akhui Yeshua”
che, tradotta, significa: “Giacomo, figlio di Giuseppe, fratello di Gesù".
Gli ambienti intellettuali sono in fermento, tutto il mondo ne parla, tranne che in Italia. Hershel Shanks, editore della Rivista Biblical Archeology, scrive che: ”l'Ossario di Giacomo può essere la più importante scoperta nella storia dell'Archeologia del Nuovo Testamento”. Questo ha delle forti implicazioni per la comprensione e la condivisione della Bibbia nel mondo. L’ossario, infatti, realizzato interamente in pietra calcarea, potrebbe ora fornire la prima prova scientifica dell'esistenza di Gesù di Nazareth. Secondo quanto dichiarato da Lemaire, insegnante presso la Sorbona di Parigi, “è molto probabile che l'ossario appartenesse al fratello di Gesù, Giacomo, che nella tradizione cristiana fu il capo della prima chiesa di Gerusalemme”.
L'annuncio è stato dato a Washington il 21 Ottobre 2002, anche se in Italia “stranamente”, non se ne parla quasi. L'urna funebre è stata rinvenuta in Israele, a Gerusalemme, e se da una parte offre una traccia materiale dell'esistenza di Gesù di Nazareth, dall'altra fornisce la prova che Maria ebbe altri figli. Questo ossario è stato datato dagli archeologi al 63 dopo Cristo. Ora, dai riferimenti storici, sappiamo che Giacomo, detto “il Giusto”, morì lapidato nel 62 d.C., su istigazione del sommo sacerdote Anano II. Egli era denominato "il Minore" per distinguerlo da Giacomo "il Maggiore", martirizzato nel 44 d.C. Per ordine di Erode Agrippa. A sostegno della veridicità della scoperta, vi è il fatto che quel tipo di sepoltura veniva praticata dagli ebrei soltanto nell'arco temporale che va dal 20 al 70 d.C. L'autenticità del reperto è stata verificata dai più qualificati esperti del settore tramite test effettuati sia sulla pietra calcarea dell'ossario che sui residui di terra e altri elementi in esso rinvenuti. Oltre al Dr. Andrè Lemaire — famoso epigrafista a livello internazionale e specialista in iscrizioni antiche — hanno valutato l'originalità del reperto anche esperti della Geologic Survey of Israel e studiosi della John Hopkins University. Anche il Rev. Joseph Fitzmyer, biblista, docente alla Catholic University, dopo aver studiato l'ossario, ha dichiarato che l'iscrizione sull'ossario “corrisponde perfettamente allo stile degli altri esempi del primo secolo” e che “la combinazione dei tre famosi nomi impressi, oltre a essere evidente, è straordinaria”. Molti Vangeli Apocrifi dunque esponevano quella verità che la cristianità istituzionale ha sempre respinto: Gesù aveva sorelle e fratelli, nati dalla normale relazione fra Maria e Giuseppe. Una verità naturale ed evidente — sostenuta nei secoli da migliaia di studiosi, da milioni di credenti sinceri e da semplici amanti della verità — che tuttavia le chiese istituzionalizzate rigettano tenacemente adducendo argomenti grotteschi, a volte offensivi dell'intelligenza. Quando si tratta di mettere in gioco la sopravvivenza di corporazioni di un certo livello, tutto diventa lecito, dalla negazione dell'evidenza, alla contraffazione, all'occultamento, alla menzogna, il tutto, chiaramente, a discapito della verità. Lo strettissimo legame di parentela con Gesù Cristo — legame che va ben oltre la fratellanza spirituale — e l’importanza di Giacomo, (Iácobos, detto “… il Giusto, figlio di Maria e Giuseppe, fratello del Signore il quale si spegnerà nella morte, ma verrà trovato vivo...”), nell'ambito della chiesa primitiva sono da decenni oggetto di prolungate controversie politico-religiose, e trovano conferma in numerosi documenti. Di seguito si elencano i principali:
Giuseppe Flavio, 'Antichità Giudaiche' XX, 9, 1 "... Convocò una sessione del sinedrio e vi fece comparire quel fratello di Gesù, detto Cristo, che si chiamava Giacomo..."
Paolo Epistola ai Galati I 19 (lettera alle Chiese della Galazia, controversia sul giudaismo) "... E non vidi nessun altro degli apostoli; ma solo Giacomo, il fratello del Signore..."
Eusebio Da Cesarea, ‘Historia Ecclesiastica’ III, 20, 1 “... Della famiglia di Gesù rimanevano ancora i nipoti di Giuda, detti fratelli suoi secondo la carne, i quali furono denunziati come appartenenti alla stirpe di David...”
Eusebio Da Cesarea, ‘historia ecclesiastica’ II, 23, 4 “... Giacomo, fratello del Signore, succedette all'amministrazione della Chiesa...”

martedì 8 dicembre 2015

PILOTI



Queste considerazioni scaturiscono da anni di lavoro nell'ambito della casistica degli avvistamenti in riferimento a quelli che sono i punti fermi dai quali partire per l'esame dell'argomento.
Innanzitutto una conferma: i piloti vedono gli UFO. Ne vedono di tutti i tipi, dagli oggetti strutturati alle luci notturne. Ed è vero che, nei casi in cui ciò sia possibile, essi cercano di portarsi in una posizione favorevole per osservarli meglio. Sicuramente ne vedono più di quanti ne riportino, preferiscono farne a meno: si tratta di una categoria di testimoni che rifugge le luci della ribalta, sia per motivi istituzionali (militari) che per motivi di tranquillità professionale (civili). Se infatti non emerge, se non in casi sporadici e spesso soltanto "per sentito dire", che i piloti che riferiscono di aver visto un UFO vengano messi a terra con ignominia, è comunque anche vero che qualche fastidio spesso viene loro arrecato. In parecchi casi, ricercatori senza scrupoli desiderosi soltanto di apparire sui giornali come scopritori di qualche storia ad effetto, hanno causato seri grattacapi alla privacy dei testimoni, dandoli in pasto alla stampa alla ricerca di uno scoop che assicurasse loro un momento di (effimera) notorietà. Non si creda che queste siano affermazioni esagerate: quello dei piloti è un ambiente molto ristretto, un piccolo mondo dove tutti si conoscono e dove occorre muoversi con attenzione e circospezione per evitare di ripagare con una pubblicità non gradita la fiducia ricevuta dal testimone che ha raccontato l'avvenimento di cui è stato protagonista.


A titolo di esempio, posso citare dei piloti di un volo commerciale che, qualche tempo fa, hanno avuto modo di osservare un fenomeno luminoso (peraltro, di probabile origine meteorica) e che pur non avendo personalmente dato al fatto una grande importanza, si sono visti citare sui giornali a grandi titoli dopo essere stati intervistati da un giornalista il giorno successivo. Come mi confermò il comandante di quel volo, per una settimana dopo il fatto lui e il suo secondo furono bersagliati dalle bonarie prese in giro dei colleghi, cosa che non piacque affatto. Ripeto, nessuno li mise a terra o intimò loro di tacere (in questo caso mi rivolsi alla loro Compagnia di appartenenza che, molto gentilmente, fornì il mio recapito al Comandante affinché mi potesse contattare direttamente!) ma qualche fastidio di troppo lo ebbero ugualmente.
Questo è il motivo per cui i casi in cui si hanno notizie sono certamente meno rispetto a quelli che effettivamente avvengono: in tante occasioni i piloti che avvistano un UFO evitano di riferirlo e tengono per sé ciò che hanno visto, risparmiandosi così di perdere tempo a compilare moduli (di cose da fare al termine di un volo se ne hanno tante, anche senza doversi sobbarcare quest’ulteriore onere) ma soprattutto evitano di essere infastiditi, per non dire assediati, da giornalisti avidi di notizie e da ufologi o presunti tali, spesso desiderosi unicamente di dare ai fatti la connotazione che preferiscono.
Un nostro pilota, ora in servizio all'ALITALIA, mi ha raccontato le convulse fasi di un tentato inseguimento di un UFO effettuato mentre si trovava ai comandi di un C-119 della 46° Aerobrigata A.M. di stanza a Pisa (l'oggetto fu rilevato anche dal personale della torre di controllo dell'aeroporto). Ebbene, subito dopo l'atterraggio la prima domanda che il nostro pilota si sentì rivolgere da un ufficiale superiore incaricato di far luce sull'accaduto fu che cosa lui e il suo equipaggio avessero mangiato prima di decollare. Al che il testimone, stanco per la missione appena compiuta e alquanto teso per il "fuori programma" capitato appena prima dell'atterraggio, dovette replicare bruscamente che era meglio cercare di mantenere il colloquio su binari della serietà. Questo ad ulteriore conferma che non sempre chi è stato testimone di un avvistamento UFO trova solidarietà e comprensione immediata, anche nel proprio ambiente e da parte dei colleghi. Da qui le forme di auto-censura che parecchi testimoni adottano per salvaguardare il proprio quieto vivere, professionale e non. E' anche vero, inoltre, che molto spesso i militari non possono divulgare quanto di anomalo hanno osservato durante missioni operative a causa del fatto che tali missioni sono coperte da riservatezza. Va però messo bene in evidenza che la riservatezza non riguarda l'avvistamento UFO di per sé, bensì le connotazioni della missione durante la quale l'avvistamento si è svolto. Niente di strano, quindi, che se il rapporto viene redatto, sia poi, in certi casi, necessariamente mantenuto riservato per motivi istituzionali. Un tipico esempio di quanto sopra esposto lo si poté riscontrare nel comportamento degli uomini dell'Aeronautica incaricati di compiere un'indagine interna per capire come mai un avvistamento effettuato dai piloti del 50° Stormo di Piacenza nel 1966, durante una missione operativa riservata, fosse finito sulle pagine del quotidiano locale il giorno dopo. Sappiamo che l'inchiesta si occupò principalmente del fatto che era stata data pubblicità ad una missione NATO di carattere alquanto "sensibile" e non già, se non marginalmente, dell'avvistamento UFO puro e semplice, come invece in certi ambienti si continua a suggerire ancora oggi. Niente cover-up sugli UFO, quindi, bensì unicamente riservatezza militare, anche se ci sarà sempre qualcuno che si affannerà a sostenere il contrario.


Non c'è quindi troppo da meravigliarsi se certi piloti, dopo un avvistamento UFO, omettono di redigere un rapporto in proposito o se lo redigono, si guardano bene dal parlarne troppo in giro, anche nella ristretta cerchia dei colleghi.
Quanto detto a proposito della riservatezza militare in tema di divulgazione di informazioni coperte da segreto va esteso anche alla possibilità che l'evento ufologico sia stato rilevato, dandone così una conferma oggettiva particolarmente rilevante, da apparati radar addetti alla sorveglianza dello spazio aereo nazionale. I sostenitori delle teorie del complotto affermano, tanto per cambiare, che siamo in presenza di ulteriori conferme del fatto che le Autorità "sanno" ma non vogliono che la gente sappia. Molto più semplicemente, appare chiaro che in parecchie circostanze divulgare certi flottaggi radar significherebbe rendere disponibili a tutti, implicitamente, informazioni riservate sull'apparato difensivo nazionale, la dislocazione e la copertura radar.
I piloti sono testimoni davvero infallibili?
La domanda è volutamente provocatoria e si riallaccia a uno dei "punti fermi" citati in apertura del presente lavoro: la particolare qualificazione professionale del testimone pilota.
Certo l'infallibilità, come la perfezione, non è di questo mondo; ciononostante, rimango dell'opinione che quella del pilota sia comunque una testimonianza più attendibile e rilevante di quella di tanti altri possibili testimoni e l'aver potuto interrogare parecchi di essi in questi anni non ha fatto che confermarmelo.
È vero comunque che, seppure in misura assai inferiore rispetto ad un qualsiasi altro cittadino, anche il pilota - che resta un uomo e non un robot - può prendere abbagli o compiere errori di valutazione. Nel caso, citato in precedenza, dei due piloti commerciali presi in giro dai colleghi dopo il loro avvistamento, il comandante affermò di aver visto un oggetto scintillante e appuntito (un vero e proprio manufatto) seguito da una lunga scia, mentre il suo primo ufficiale non percepì nulla del genere, bensì un fenomeno più assimilabile a un rientro meteorico. Con questo non voglio togliere credibilità a tutta la categoria: desidero soltanto far presente come anche i piloti non siano, né lo si può pretendere, i testimoni DEFINITIVI: quelli che costituiscono il sogno segreto di ogni inquirente. I sensi di cui l'essere umano dispone per percepire i dettagli dell'ambiente che lo circonda sono capolavori di efficienza fisiologica ma, a volte, possono trarre in inganno anche l'osservatore più attento e smaliziato: i piloti sono in grado di supplire a gran parte di questi trabocchetti grazie alla loro preparazione e addestramento, ma non si possono pretendere capacità sovrumane. Una cosa che mi è capitato di sentirmi dire abbastanza frequentemente in occasione delle mie inchieste è che non ricordano la data precisa (a volte neanche l'anno!) di un determinato evento. Questo spiega i casi "A" che figurano tristemente senza data nel catalogo del Progetto. Ciò appare inconcepibile (anche se col tempo ci si abitua), in quanto non si capisce come si possa non prendere scrupolosamente nota, per i posteri o anche solamente per raccontarlo ai propri figli o nipoti, di un avvenimento dalle connotazioni spesso spettacolari come certi avvistamenti che mi sono sentito raccontare. Eppure a volte capita proprio questo: il racconto consiste in semplici ricordi non circostanziati. La disinvoltura con cui molti piloti "archiviano" nella mente certi fatti inesplicati avvenuti durante il loro servizio, che tanto mi fa arrabbiare, pare attuata meccanicamente dal testimone, quasi non gli interessasse approfondire più di tanto la faccenda. Ed è così che, magari, salta fuori che egli dieci o vent'anni prima ha assistito ad un fenomeno sconosciuto ma non si ricorda bene la data ("eravamo nell'autunno o inverno del 1969... o forse era il '70..."), né il nome del suo co-pilota, né se ha avuto contatti con la torre di controllo e via dicendo. Ma, al di là di tutto questo, resta impressa nella memoria l'esperienza vissuta, l'incontro anche se solo per pochi secondi con "qualcosa" che pur a distanza di anni, e pur con l'aumentare del proprio "spessore" professionale, continua a restare inspiegato. Qui il pilota, nonostante possa essere perfettamente a conoscenza (e molti in effetti lo sono) del demenziale folklore para-ufologico che ormai quotidianamente ci martella dai banchi espositori delle edicole, si dimostra obiettivo e poco incline a voli pindarici nel tentativo di dare una connotazione forzatamente "esotica" a ciò che ha visto. Tutt'altro, dove è possibile identificare l'oggetto della visione ciò viene fatto senza esitazioni mentre nel caso opposto (oggetto o fenomeno rimasto non identificato) il testimone non si avventura in elucubrazioni stiracchiate o speciose, ma si limita a confermare la natura sconosciuta di ciò che ha visto, magari aggiungendo che in altre condizioni di visibilità e con qualche secondo in più a disposizione probabilmente avrebbe anche potuto identificarlo.


Certo, anche un pilota può sbagliare, ma salvo rarissime eccezioni ben difficilmente egli approfitterà del suo avvistamento per andare a caccia di pubblicità e facile notorietà: si può pertanto essere ragionevolmente sicuri che proprio in virtù di questa forma mentis basata su professionalità, serietà e riservatezza il suo resoconto potrà essere considerato particolarmente affidabile e obiettivo e non affetto da aggiunte o rimaneggiamenti confezionati ad uso e consumo di una platea di "credenti" in vena di emozioni. Potrà non esserci la data o qualche nome, ma i fatti saranno quelli e solo quelli. Toccherà poi all'inquirente ricavarne quanti più dati gli sia possibile. Non è poco, mi pare.