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lunedì 28 maggio 2012

Gesù o Barabba: chi fu liberato?

La versione ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana (1976) traduce il verso 16 del capitolo 27 del vangelo secondo Matteo, tratto dal testo originale in greco della pagina 101 del Novum Testamentum Graece et Latine (a cura di A. Merk, Istituto Biblico Pontificio, Roma, 1933) nel seguente modo: “Avevano in quel tempo un prigioniero famoso, detto Barabba”.
Mentre la Sacra Bibbia (Traduzione dai Testi Originali), edita dalle Edizioni Paoline nel 1964, lo traduce così: “Egli aveva allora in carcere un detenuto famoso, detto Barabba”.
Ancora, il Nuovo Testamento - Parola del Signore, pubblicato nel 1976 dalla Elle Di Ci (Leumann, Torino), traduce così: “A quel tempo era in prigione un certo Barabba, un carcerato famoso”.
Infine, il Nuovo Testamento, Nuova Revisione 1992 sul Testo Greco, della Società Biblica di Ginevra, traduce così: “Avevano allora un noto carcerato, di nome Barabba”.
Notiamo che le traduzioni sono abbastanza diverse e che tali variazioni possono produrre importanti discordanze nei significati. Questo prigioniero famoso era “detto Barabba”, “un certo Barabba” o “di nome Barabba”?
É sicuro che detto, da una parte e di nome o un certo, dall’altra parte, lasciano intendere due cose molto differenti. Nel primo caso Barabba sembra un soprannome, mentre nel secondo e nel terzo caso sembra trattarsi di un nome proprio: quel prigioniero si sarebbe chiamato proprio Barabba.
Non si tratta di una questione irrilevante ma, di uno dei problemi più delicati di tutta l’analisi della letteratura evangelica. Perché intorno al personaggio di Barabba, alla sua vera identità e al suo ruolo nel processo che Cristo ha subito dinanzi al procuratore romano Ponzio Pilato, si nasconde probabilmente una delle più importanti chiavi di comprensione del senso storico di quegli eventi.
Il testo greco usa il termine legomenon Barabban che si traduce con detto Barabba, chiamato Barabba, soprannominato Barabba, ciò lascia intendere che quello non fosse il nome proprio, ma un titolo o un soprannome.
Ma torniamo al Novum Testamentum e osserviamo una nota a piè di pagina che si riferisce proprio al verso 16 del vangelo di Matteo. Essa ci dice che dopo il termine Barabba alcuni antichi testi recano una lunga frase: “eicon de tote desmion epishmon Ihsoun Barabban, ostiV hn dia stasin tina genomenhn en th polei kai jonon beblhmenoV eiV julakhn”. Che viene tradotta comunemente in:  “il quale era stato messo in carcere in occasione di una sommossa scoppiata in città e di un omicidio”.
Ci accorgiamo che, traducendo gli antichi testi, è stata scartata una frase dalla quale si può capire che Barabba era stato arrestato in seguito ad una sommossa che si era verificata in città, durante la quale era stato commesso un omicidio. Chi aveva commesso l’omicidio? Se consultiamo il vangelo secondo Marco (Mc 15, 7), in un passo parallelo, possiamo leggere: “Un tale chiamato Barabba si trovava in carcere, insieme ai ribelli che nel tumulto avevano commesso un omicidio”.
Il verbo “avevano commesso” è coniugato al plurale, non al singolare e si riferisce ai ribelli, non a Barabba. La frase significa semplicemente che Barabba era rinchiuso nel carcere in cui si trovavano i ribelli, non ci obbliga a credere che egli stesso fosse un ribelle e che avesse partecipato al delitto.
La lettura dei vangeli sinottici, eseguita fedelmente dalle versioni in lingua greca, ci dà buoni motivi per credere che Barabba non fosse uno degli insorti che avevano commesso l’omicidio, ma solo che egli sia stato arrestato in concomitanza di una sommossa di cui altri erano responsabili. Ci dicono, tra l’altro, che costui non era uno sconosciuto ma un personaggio famoso.
L’osservazione più interessante la facciamo senz’altro nel momento in cui osserviamo la prima parte della nota 16 presente nel Novum Testamentum. Essa ci dice che in alcuni antichi manoscritti, al posto di legomenon Barabban (detto Barabba), troviamo quest’altra espressione: Ihsoun Barabban (Gesù Barabba). La nota ci conferma che il personaggio non si chiamava Barabba ma, che questo era un titolo: il suo vero nome era Gesù!
Sembra che nel corso di quel processo, durante il ballottaggio per la scarcerazione di un prigioniero, Pilato abbia presentato al popolo due accusati: un certo Gesù, che i sacerdoti avrebbero condannato a morte perché aveva osato definirsi figlio di Dio e un altro Gesù, noto a tutti col titolo di Barabba. Forse è proprio per evitare questa eccezionale omonimia che i traduttori hanno omesso il nome del personaggio che fu in seguito liberato, presentandolo solo come Barabba.
Ma si tratta di semplice omonimia? Qual’è il significato del soprannome Barabba?
Per giungere ad una risposta ritorniamo al momento in cui Gesù fu interrogato in casa di Caifa, il sommo sacerdote. Costui, non riuscendo a trovare un capo d’accusa valido (così narra il vangelo) ad un certo punto chiese a Gesù: «sei tu il figlio di Dio?» E Gesù rispose: «tu l’hai detto». Attenzione! La vicenda del processo davanti alle autorità ebraiche, così come è descritta dalla narrazione evangelica, tradisce la presenza di anomalie. Tutto lascia intuire che si trattò solo di un interrogatorio informale e sbrigativo, svoltosi nell’intervallo di tempo che separava l’arresto dell’uomo sul monte degli ulivi e la sua consegna alle autorità romane, presso le quali si ebbe il vero ed unico processo che sentenziò la condanna a morte di Gesù. Un processo, ricordiamolo, per sedizione.
Ora, noi sappiamo che gli ebrei, per motivi religiosi, non potevano assolutamente pronunciare la parola Dio e che il sommo sacerdote non si sarebbe mai azzardato a pronunciarla in  quella occasione. Ma se egli ha veramente posto quella domanda, allora in che modo ha potuto chiedere a Gesù se era il figlio di Dio? La risposta è semplicissima, gli ebrei usavano molti termini per riferirsi a Dio (Adonai, Eloah, il Signore, il Padre, etc.). Anche Gesù, nei racconti evangelici, parla spesso di Dio ma, rivolgendosi ad un pubblico di ebrei ed essendo egli stesso un ebreo, usa uno di questi termini: “il Padre mio”, “il Padre che è nei cieli”. Nel vangelo secondo Marco (Mc 14, 36) leggiamo: “Abbà, Padre, tutto è possibile per te”, in cui compare sia il termine tradotto (Padre) sia quello originale (Abbà). Ed ecco che per gli ebrei del tempo di Gesù il termine figlio di Dio poteva essere reso anche come figlio del Padre, ossia: bar Abbà. L’espressione bar Abbà, può essere condensata, e diventa così “Barabba”. Se prima abbiamo appreso che Barabba si chiamava Gesù, ora addirittura scopriamo che Gesù era definito Barabba! Ma quale razza di mistero si nasconde dietro questo intreccio straordinario di nomi e di titoli? E’ mai possibile che durante il processo Pilato abbia presentato al popolo due diverse persone: Gesù, che era detto figlio di Dio, cioè Barabba, che fu condannato e giustiziato e Barabba, che però si chiamava Gesù, che fu graziato e rilasciato?
Tutto ci induce a credere che le cose sono andate diversamente.
In primo luogo, non c’è mai stato un autentico processo davanti al Sinedrio. Cristo è stato arrestato per volontà di Pilato che ha inviato per questo una coorte romana sul monte degli ulivi, un corpo militare comandato da un tribuno.
Gli ebrei, se volevano, erano in grado di eseguire anche una sentenza di morte: lo testimonia lo stesso Nuovo Testamento (Giovanni Battista, l’adultera che stava per essere lapidata dagli ebrei, lo stesso Gesù che ha rischiato più volte la lapidazione da parte degli ebrei, Stefano lapidato dagli ebrei all’indomani della morte di Gesù, Giacomo lapidato dagli ebrei sotto le mura del tempio, etc.).
I romani non hanno mai avuto l’abitudine di applicare le amnistie in occasione delle festività di altri popoli non latini ma, solo nelle festività romane. Tantomeno sarebbero stati propensi a liberare, in Palestina, un condannato a morte per il reato di sedizione.
Pilato non era il tipo di rimanere lì ad aspettare che il popolo decidesse quale dei due doveva essere rilasciato, per poi lavarsene le mani e scarcerare il ribelle giustiziando un maestro spirituale: questa è una immagine assolutamente non veritiera e ridicola del praefectus Iudaeae; si legga Giuseppe Flavio per sapere chi e come era Ponzio Pilato.
Il popolo degli ebrei non ha mai gridato “il suo sangue ricada sopra di noi e sui nostri figli” (Mt 27, 25), preannunciando la persecuzione perpetrata dai cristiani contro giudei. Sono scuse palesi, per spostare la responsabilità della condanna dai romani agli ebrei. Questo infatti è uno dei presupposti della catechesi neo-cristiana, che ebbe origine nella mente di Paolo, il nemico di Simone e Giacomo, in aperta e stridente opposizione con la catechesi giudeo-cristiana, al prezzo di un grave pregiudizio antisemitico. Si sono travisati i fatti per aumentare progressivamente le distanze dall’ebraismo e trasformare l’aspirante messia degli ebrei nel salvatore cristiano.
Dal rebus di Gesù e Barabba scaturisce una ennesima conferma del fatto che i redattori dei vangeli neocristiani erano non ebrei, che non scrivevano per un pubblico ebreo e che erano interessati a de-giudaizzare il messia degli ebrei.
Non scaturisce, invece, una soluzione su chi siano state queste due persone. Erano veramente due? Si tratta di due persone i cui nomi, titoli, ruoli e responsabilità sono stati intrecciati e confusi negli interessi della contraffazione storica? Se Gesù Barabba è il prigioniero che fu liberato, dobbiamo credere che Gesù non è mai stato crocifisso, coerentemente con quanto sostenuto dalla tradizione coranica e da altre tradizioni?
Ci troviamo di fronte a una lunga serie di domande ma, non abbiamo le risposte.  

sabato 26 maggio 2012

VIAGGIATORI DEL TEMPO?


 

In questo filmato pubblicitario prodotto nel 1928, si vede una donna che sembra usare un telefonino. Forse i viaggiatori come John Titor esistono davvero.

mercoledì 23 maggio 2012

JOHN TITOR: IL VIAGGIATORE DEL TEMPO

Se potessi, viaggerei nel tempo. Personalmente, ne sarei entusiasta e sono sicuro che piacerebbe anche a voi. Quella che mi accingo a raccontare è una vecchia storia che, all’epoca, fece il giro del globo suscitando curiosità e interesse.
Il 2 novembre 2000, una persona che scelse l'appellativo di Timetravel_0 iniziò a scrivere messaggi in vari forum dedicati ai viaggi nel tempo (fra cui timetravelinstitute.com) dichiarando di essere un viaggiatore del tempo proveniente dal 2036. In seguito cambiò il suo nick name in John Titor.
Titor disse di essere un soldato e di lavorare per un progetto governativo. Era stato inviato nel 1975 per recuperare dal nonno, ingegnere dell'IBM a Rochester, un computer trasportabile IBM 5100 che, a suo dire, conteneva funzioni non documentate che gli permettevano di svolgere un'operazione vitale per il mondo del 2036: effettuare conversioni fra i vecchi sistemi IBM e UNIX. Ciò permette, secondo alcuni, alla società del futuro, di sopravvivere al collasso dei sistemi UNIX previsto per il 2038. Dopo aver recuperato il computer, Titor decise di fare una tappa nell'anno 2000 per far visita alla propria famiglia e vedere se stesso da bambino, ma anche per sperimentare di persona gli effetti (quali effetti?) del Millennium Bug.
Nei suoi messaggi, Titor dichiarò di non voler convincere nessuno dell'autenticità della propria storia, ma di voler semplicemente saggiare la reazione delle persone alla possibilità di incontrare un crononauta. Rispose in modo impegnativo alle domande che gli vennero poste nei forum e fornì dettagli tecnici e persino le immagini della sua "macchina del tempo": un modello C204, fabbricato dalla General Electrics nel 2034, pesante circa 250 chili e trasportato in una Chevrolet Corvette cabriolet del 1966 (nel 2000? Sic!) poi scambiata con un furgone a quattro ruote motrici del 1987.
Il 24 marzo 2001, John Titor annunciò il proprio ritorno a casa, nel 2036. Da allora non si è più fatto sentire.


L'analisi dei messaggi di Titor (ottimi punti di partenza sono Time Travel Portal e Above Top Secret) produce risultati ambigui. Le immagini della sua "macchina del tempo" sono pessime e il "manuale" è da principianti (specialmente se si considera che è stato stampato nel 2034), eppure Titor ha dimostrato una notevole conoscenza della fisica avanzata e dell'informatica.
Titor ha previsto, erroneamente, che nel 2004 sarebbe scoppiata la guerra civile in USA e che le Olimpiadi sarebbero terminate nello stesso anno ma, si è coperto le spalle "spiegando" che esistono molti mondi paralleli al nostro e che in ciascuno di questi mondi gli eventi sono leggermente differenti. Lui proverrebbe, in realtà, da uno di questi mondi e avrebbe raccontato la linea temporale di quel mondo che, per quanto può essere simile, ha delle divergente rispetto alla nostra. Le previsioni di Titor sono piuttosto catastrofiche: la Terza Guerra Mondiale fa tre miliardi di morti, la Russia bombarda le città americane, europee e cinesi, la Microsoft non esiste più.


Un aspetto della sua storia, che suscita un certo interesse, riguarda la questione dell'IBM 5100. Infatti, le funzioni non documentate descritte da John Titor esistono realmente ma furono sempre tenute segrete. Ne parlò Bob Dubke in un’intervista rilasciata per il Rochester Magazine, nell’agosto del 2004. Dubke è uno dei tecnici che progettò l'IBM 5100: realizzò l'interfaccia fra il suo codice assembly e l'emulatore 360 inglobato nel sistema. IBM tenne segreta quest'emulazione perché temeva che la concorrenza ne approfittasse, dato che permetteva ai programmatori di accedere alle funzioni dei mastodontici computer IBM degli anni Sessanta.
Secondo l'articolo, Dubke non conosceva la storia di Titor. Quando gli fu raccontata, la sua prima reazione fu di chiedersi quale membro del suo gruppo di sviluppo all'IBM poteva avere il senso dell'umorismo necessario per architettare un putiferio mediatico del genere. Gli venne anche in mente un possibile candidato ma, analizzando i messaggi di Titor osservò che erano "troppo semplici" per essere il parto di un suo collega, che fra l'altro non avrebbe mai usato l'espressione "legacy code" usata da Titor.  Dubke ipotizzò che il segreto, col tempo, fosse trapelato e che John Titor avesse reperito quelle informazioni frugando in Internet.

EROI SCONOSCIUTI


I fratelli Judica Cordiglia avevano una potente stazione ricevente, e sfruttando le loro conoscenze, riuscirono a captare molti messaggi inviati da cosmonauti sovietici. Ciò fu possibile in quanto quei satelliti utilizzavano particolari frequenze rintracciabili quando, in orbita, sorvolavano il territorio sovietico. I due fratelli, trovandosi nel nord Italia, erano in una posizione ideale per tali intercettazioni. Furono captati anche segnali di veicoli spaziali americani.
Dal 1957 i fratelli Judica Cordiglia cominciarono a captare i segnali, le conversazioni e persino le immagini dei principali voli spaziali dell'epoca, dal primo satellite in orbita, lo Sputnik, al primo uomo nello spazio, Yuri Gagarin.
Nel maggio 1961 circolavano voci di un imminente lancio di un veicolo spaziale sovietico con persone a bordo. Di conseguenza, i fratelli Judica Cordiglia iniziarono a monitorare le frequenze sovietiche e riuscirono ben presto a registrare e documentare le comunicazioni tra la base di lancio e tre cosmonauti nello spazio: due uomini e una donna (la prima nello spazio). I discorsi, col passare del tempo, si fecero sempre più concitati, evidenziando serie difficoltà tecniche. Di particolare effetto una fu frase pronunciata dalla donna: “Già! Tanto questo il mondo non lo saprà”. Ben presto la situazione precipitò diventando drammatica: i dialoghi evidenziarono, oltre alle difficoltà tecniche, la mancanza di ossigeno e il malessere dei cosmonauti. La situazione si trascinò per sette giorni. Alla fine, le voci maschili scomparvero e al transito successivo, si sentì solo la voce femminile che si lamentava per la scarsità di ossigeno e per l’intenso calore. Chiedeva continuamente se sarebbe rientrata, se sarebbe precipitata. Infine, la donna prese a urlare dicendo che vedeva una fiamma. Il segnale si interruppe subito dopo.
L'analisi accurata di tali intercettazioni evidenziò che la missione spaziale sovietica, il cui scopo era di compiere il maggior numero di rivoluzioni intorno al globo, battendo ogni primato e portando, per la prima volta, una donna nello spazio; si era conclusa tragicamente, causando la morte dell’equipaggio. Inoltre, evidenziò i problemi che impedirono il rientro sulla Terra e la completa distruzione del veicolo spaziale, che si disintegrò nell'atmosfera.
L'Unione Sovietica era apertamente ostile ai fratelli Judica Cordiglia tanto che nel 1965 diramò un comunicato in cui li etichettava come imbroglioni. Tuttavia, i due fratelli replicarono alle accuse, dimostrando che le informazioni diffuse erano documentate scientificamente ed ottenute con metodi irreprensibili. Tra l'altro, le ricezioni, avvenute in presenza di testimoni, dimostrarono senza ombra di dubbio l’esistenza degli astronauti scomparsi anche se l'U.R.S.S. continuava a negarlo.
Successivamente, l’atteggiamento dell'Unione Sovietica cambiò e l’occidente venne a conoscenza di altri incidenti, come quelli capitati alla Soyuz 1 nel 1967 e alla Soyuz 11 nel 1971. Cominciò a circolare anche la notizia di cosmonauti sovietici espulsi dal corpo degli astronauti per ammutinamento. Probabilmente i Russi cominciavano a rendersi conto che, nonostante la Cortina di ferro, non era possibile mantenere il segreto sull’intera vicenda.

domenica 20 maggio 2012

PTESAN WIN: DONNA BISONTE BIANCO























La figura principale della religione dei Nativi Americani è Ptesan Win: la Donna Bisonte Bianco. Quella che per noi è una leggenda, per gli Indiani è un fatto rilevante: gode della stessa rilevanza che Gesù ha per i Cristiani.



Tra le sette tribù lrochesi vi erano gli ltazipcho (i Senza Archi). Erano affamati e cercavano disperatamente dei bisonti. Il loro capo scelse due giovani fra i suoi guerrieri perché andassero a caccia di selvaggina. Vagarono a lungo senza fortuna, infine videro una sagoma muoversi nella boscaglia. Sicuri che si trattasse di un animale, si nascosero tra l’erba per tendergli un agguato. Sembrava un bisonte e veniva verso di loro. Quando la sagoma fu più vicina i due guerrieri si accorsero con loro grande sorpresa che non si trattava di un bisonte, ma di una donna. La donna, dalla figura eterea, sembrava fluttuare nell’aria. Dopo essersi avvicinata, ella sostò per un momento e li guardò. Gli uomini avevano capito che poteva vederli anche se erano nascosti. Era molto bella.  "E' la donna più bella che abbia mai visto - disse uno dei cacciatori - voglio possederla". Ma l’altro lo bloccò dicendo: “come puoi avere un simile pensiero? Non vedi che non è umana, si muove sospesa a mezzaria”.
L’altro non ascoltò e dopo essersi svincolato, corse verso la donna. Tese la mano per toccarla ma, all'improvviso, si alzò una densa foschia che avviluppò entrambi. Quando la foschia svanì, la donna era ancora là, ma del giovane guerriero non era rimasto che un cumulo di cenere e ossa.
La donna quindi si rivolse al superstite dicendo: "Il tuo amico aveva pensieri impuri ed è stato punito. Sono stata mandata dalla Nazione del Bisonte per dare un messaggio al vostro popolo. Avvisa la tua tribù poiché domani li raggiungerò. Dì pure cosa è successo qui. Ora però torna da loro, incamminati senza voltarti".
Donna Bisonte Bianco si ripresentò l'indomani all'accampamento degli ltazipcho, entrò nella capanna costruita per lei, sollevò verso il cielo la pipa che aveva portato per la tribù e disse: "Pregate Wakan Tanka 'il Creatore'. Vi ha donato questa pipa. E' consacrata ai Wakinian, il popolo alato del cielo. Con essa rendo grazie al mondo dello Spirito, il mondo dell'aldilà". Per quattro giorni "Ptesan Win", come venne chiamata, istruì e civilizzò la popolazione. Poi se ne andò ma, mentre si allontanava verso una collina, promise di tornare, scomparendo lentamente.

USTICA: L'IPOTESI EXTRATERRESTRE

Si tratta di una ipotesi che circola da diversi anni, sulla cui attendibilità non mi pronuncio.
Può sembrare strano ma, un’inchiesta condotta da Umberto Telarico raccoglie numerosi indizi secondo i quali il DC9 Itavia sarebbe stato coinvolto in un tentativo da parte della NATO di abbattere un’astronave aliena. Il DC9 fu colpito per sbaglio da un missile diretto contro l’UFO. Parrebbe che l’aereo non fu distrutto in volo ma, seppur danneggiato, riuscì ad ammarare. Alcuni passeggeri, anche se feriti, sopravvissero all’ammaraggio e visto che l’aereo galleggiava ancora, si prepararono all’arrivo dei soccorsi. L’ipotesi, inquietante, suggerisce che, in quel frangente, il DC9 fu fatto colare a picco di proposito affinché nessun superstite potesse testimoniare l’evento. Insomma, si fece di tutto pur di non far sapere che il mondo era in guerra con gli alieni.
A differenza di quanto può sembrare, l'argomento non è privo di fondamento: è vasto, interessante e molto articolato. Non può essere trattato, su questa pagina, nella sua interezza. Tuttavia, consiglio a chi volesse saperne di più, di collegarsi al sito seguente, scaricando e consultando, per intero, il dossier di U. Telarico:  https://www.scribd.com/document/12700727/UsTicaFull-secretum-omega

sabato 19 maggio 2012

CONTATTO RADIO



Quando Guglielmo Marconi mise a punto la prima radio, con sua sorpresa, captò dei segnali. Chi trasmetteva? Marconi cercò di capirlo ma, con la rapida diffusione del mezzo, le trasmissioni radio si moltiplicarono e l’indagine si concluse con un nulla di fatto. 

La vicenda che andiamo a raccontare è documentata anche dalle copie che il New York Times conserva nei suoi archivi, oggi disponibili anche su internet.

Nel 1907 Guglielmo Marconi fece degli sudi su fenomeni inspiegabili, presumibilmente di origine non umana ma, di carattere intelligente. Egli fu sul punto di credere che si trattasse di comunicazioni aliene dirette agli abitanti della Terra; cosa che affermò pubblicamente nel 1919, dichiarando che i segnali sconosciuti captati dalle radio di tutto il mondo non erano di origine terrestre. Dello stesso parere era anche Nikola Tesla. 

Nella primavera del 1921 mentre l’inventore della radio stava svolgendo esperimenti nel mediterraneo, rivelò la presenza di onde sconosciute e regolari. Onde lunghissime, oltre 30 km, mentre a quel epoca la massima lunghezza d’onda era di 14 km. Si trattava di un codice persistente e sconosciuto, captato già nel 1901 dalla rudimentale attrezzatura dello scienziato Nicola Tesla, quindi, in un periodo in cui le trasmissioni radio ancora non esistevano.

Si notò che il fenomeno si ripeteva periodicamente quasi ogni anno e così Guglielmo Marconi lo fece intercettare contemporaneamente nel Mediterraneo e in Sud America, cercando invano di rilevarne la provenienza. Realizzò soltanto che il segnale era più forte quando Marte era più vicino alla Terra.

Si ebbe allora una cooperazione internazionale per una prova di ascolto globale, organizzata dal prof. David Todd (docente di astronomia dell’Ist. Amherst). Si chiese che tutti i paesi dotati di stazioni trasmittenti ad alta potenza chiudessero le trasmissioni per cinque minuti ogni ora dalle 23:50 del ventun agosto alle 13:50 del giorno ventitré, cioè nei giorni in cui Marte si trovava alla distanza minima dalla Terra. La proposta, come sappiamo, non fu accolta.

mercoledì 16 maggio 2012

IPERSPAZIO

In “Senza tempo” le astronavi viaggiano già nell’iperspazio ma, per entrare in un vortice spaziale è necessario schermare lo scafo, altrimenti si rischia il peggio. Adam che, come già sappiamo, si è imbarcato su di una nave aliena prendendo il posto di Filruo, ora deve convincere il comandante Stepan ad affrontare quel rischio.

-          Mi ascolti Comandante, non possiamo affidarci a quella macchina, che non è stata mai collaudata. Ci ucciderà tutti, Signore.
-          Ma che sta dicendo! Anche ammesso che sia vero, dobbiamo andar via da qui.
-          C’è un’altra possibilità.
-          Quale?
-          Quella di passare attraverso l’occhio del vortex.
-          E’ completamente impazzito! In tutta la storia della cosmonautica, nessun comandante ha mai deliberatamente diretto la prua verso un vortex e quelle navi che per errore o per sfortuna sono capitate nelle vicinanze, hanno riportato una tale serie d’avarie da rischiare di restare annichilite dalla singolarità.
-          Ma deve ammettere che quegli equipaggi l’hanno potuto raccontare. Inoltre se ben ricordo, l’ultimo di questi episodi risalirebbe al tempo in cui le navi viaggiavano ancora a velocità luce. Da allora la tecnologia ne ha fatta di strada! Deve convenirne Comandante.

Non c’è scelta: se non affrontano il vortex sono destinati a una morte sicura. Il comandante accetta il rischio e così, si mettono in atto le tecniche atte a proteggere lo scafo.

Mi diressi subito nella sala macchine; avevo bisogno di più squadre che lavorassero contemporaneamente. Organizzai i turni di lavoro senza stravolgere quelli di riposo. Stavo attento a non inimicarmi il personale, avevo bisogno del loro appoggio, poiché non avrei potuto contare sulla loro comprensione. Con una scusa, allontanai Anespo, apertamente ostile. Infine, mi rimboccai le maniche e cominciai a darmi da fare anch’io; sapevo, per esperienza, che era il miglior modo per accattivarmeli. I preparativi andarono per il meglio, anzi finimmo prima del previsto. Ora spettava a Stepan; gli comunicai che eravamo pronti.

Infine, si affronta il rischio con coraggio e determinazione.

Vedemmo la nave virare con decisione, dirigendo la prua in direzione del vortex. Ci siamo pensai, ora sapremo.
Si avvertì il rumore delle macchine spinte al massimo e la variazione, in negativo, della forza di gravità; nonostante l’effetto dei compensatori. Precipitavamo a elevatissima velocità in un pozzo gravitazionale, tra poco avremmo cominciato a galleggiare, seguendo gli ordini e il buon senso, ci si preoccupò di aggrapparsi saldamente a una struttura fissa. Lo scafo vibrava paurosamente per effetto della cavitazione. Le luci si affievolivano, quel tanto che basta per capire che la propulsione assorbiva energia come una spugna, risucchiandola anche dagli altri apparati. La nave era sottoposta a una tensione fuori della norma, tutti i sistemi erano in sovraccarico. Attaccato al pannello di controllo, osservavo impotente gli strumenti: avrei voluto un residuo di gravità almeno in sala macchine, ne avremmo avuto bisogno, in caso di intervento manuale. Mi rendevo conto che ormai eravamo completamente senza peso e non era possibile compensare. Staccai una mano, semplicemente per premere un pulsante e mi trovai con i piedi per aria; tutto diventa più difficile in assenza di gravità.

Adam/Firuo teme che si verifichino dei problemi. I guai, infatti, non tardano ad arrivare.

-          I deflettori signor Filruo, Gli schermi stanno cedendo! – Era Stepan che urlava come un ossesso.
-          Reggeranno! Stanno fluttuando per adattarsi.
-          Esplosioni Signore, rilevo esplosioni all’interno dello scafo!
-          Dove! Dove sono localizzate?
-          Nella stiva signor Filruo, la stiva sta letteralmente bruciando e gli estintori non ce la fanno, il calore è troppo intenso!
-          Fate evacuare la stiva, poi togliete l’aria. Senza ossigeno il fuoco si spegnerà. Maledetti contrabbandieri, chissà cosa hanno introdotto là dentro!
-          Eseguo. Se la paratia esterna cede, per noi è la fine!
-          Gli altri settori?
-          Lo scafo regge Signore, sembra che gli schermi ce la facciano, ci proteggono... per il momento. La stiva è isolata!
-          Bene provveda alla decompressione.
Una chiave Fringo, passò leggera come una piuma sulla mia testa, volteggiando seguì una traiettoria iperbolica che la portò a posarsi sul pavimento.
-          Dannazione! La gravità, inizia ad aumentare, siamo vicini al punto critico.
-          La pressione, Signore, continua ad aumentare. La temperatura è in continuo aumento, le esplosioni si susseguono; i gas sono incandescenti, non riesco a evacuarli con la necessaria velocità. Il calore si propaga, se continua così le paratie scoppieranno! Non possono reggere.
Guardai preoccupato il Capo macchinista.
-          Dobbiamo assolutamente aumentare la velocità, altrimenti non ne usciamo. – Gridai.
-          La forza di gravità è tornata, storniamo un po’ d’energia dai compensatori.
-          No, i compensatori ci servono, devono continuare a funzionare alla massima efficienza, la gravità aumenta rapidamente, senza di loro rimarremo schiacciati e lo scafo cederebbe sotto il suo stesso peso!
-          Non so che farci!
-          I motori a spinta, dobbiamo utilizzare anche quelli, supereremo la velocità massima di un dieci per cento.
-          Non ho più energia disponibile e non possiamo toglierla dagli altri sistemi, altrimenti avremo altri settori nelle stesse condizioni della stiva!
-          La stiva Signore, sta per esplodere!
-          Capo! – Gridai.
-          Mi dia un ordine, Signore! –
-          Filruo cosa sta succedendo – era Stepan, dal ponte di comando – riusciamo a malapena a reggerci in piedi qui!
-          E’ tutto sotto controllo, Comandante... tra un minuto sarà tutto finito.
-          Signor Filruo la stiva!
Avrei voluto avere un attimo, solo un attimo per pensare, ma non c’è l’avevo. Dovevo decidere e dovevo farlo immediatamente. Cosa potevo fare, cosa avrebbe fatto Filruo al mio posto, in quel frangente? No un momento, mi stavo di nuovo confondendo, io non ero Filruo. “Se sei al comando, comanda; non pensare a cosa farebbe un altro al tuo posto”. Ricordai: era l’insegnamento di Sargon.
-          Bene Capo, faremo partire quei motori; utilizziamo l’energia delle batterie.
-          Ma Signore...
-          Niente ma Capo, mi aveva chiesto ordini? Ora obbedisca! I motori funzionano, vedrà riusciremo a ricaricarle.
-          Va bene, ma la stiva?
-          Ci stavo arrivando. Immettiamo acqua nebulizzata nella stiva e colleghiamola con un condotto d’evacuazione, direttamente alla presa a fuso dei motori di spinta. Si può fare?
-          Certo che si può. Accidenti! E’ un’idea geniale: raffredderemo la stiva e inviando i gas nella camera di espansione dei motori, avremo un incredibile incremento di spinta.
-          Lo faccia allora, immediatamente.
-          Bene Signore, lo consideri già fatto. Il tempo di raggiungere quel pannello e attivare i by pass.
Fu molto facile dirlo, ma quando provò a muoversi, il Capo si accorse che il suo corpo era diventato pesante come un macigno. Lo vidi che a fatica raggiungeva il pannello.
-          Non si appoggi alla parte centrale, Capo, potrebbe sfondarla con il suo peso!
-          Me n’ero già accorto, Comandante.
Decisi di aiutarlo: dovevo raggiungere la consolle! Era come se mi fossi caricato un’altra persona sulle spalle, per giunta molto robusta.
-          Non venga qui – gridò il Capo – ho quasi finito, ma c’è una deviatrice che rimane bloccata. Vada a raccogliere quella chiave Fringo e me la porti.
Mi girai verso il punto in cui avevo visto cadere la chiave. Riuscii a raggiungerla ma non ad alzarla. Per farlo, ci volle l’aiuto di un altro membro dell’equipaggio; insieme riuscimmo finalmente a sollevarla e decidemmo di infilare la chiave direttamente nella sua presa per azionarla.
Avvertimmo il contraccolpo dei motori a spinta. Giusto in tempo pensai: ancora una manciata di secondi e non saremmo stati più in grado di far niente. Succeda quel che succeda, ho fatto del mio meglio, ora...
Un ronzio anomalo proveniente dai compensatori, sollecitati fino allo spasmo, interruppe quel mio pensiero. Mi sentivo venir meno: schiacciato come da una pressa, investito dal calore delle macchine.

Ma tutto finisce nel migliore dei modi… o quasi.

All’improvviso, tutto finì. Mi riprendevo, in un’atmosfera di totale calma che sapeva di vittoria. Gli apparati non si erano ancora raffreddati e producevano ancora un po’ di rumore, ma era niente in confronto al frastuono di qualche istante prima. La quiete mi pareva assoluta ora che la tempesta era passata.
-          Si alzi, Comandante. – La voce del Capo mi sembrò alquanto cordiale. – Ci è rimasta un po’ di gravità, approfittiamone.
Mi sentivo leggerissimo.
-          Che valore?
-          Direi che è un quarto del normale, ma aumenterà, non appena riuscirò a mettere le mani sui compensatori.
-          La stiva?
-          Ha retto. Non doveva lasciarla così, quasi senza protezione.
-          Avevo bisogno di energia per rinforzare gli schermi sugli altri comparti.
-          E’ stato fortunato!
-          Sì. Mi serve una stima dei danni.
-          Lievi, tutto sommato. C’è il grosso problema delle batterie.
Abbiamo tempo per quello. Appena possibile spenga i motori di spinta; a tutto vantaggio della gravità.

venerdì 11 maggio 2012

CERCHI NEL GRANO

I Cerchi nel grano appaiono non solo nei campi di grano ma anche di orzo e di colza. Si formano rapidamente, prevalentemente di notte, senza che venga rilevata alcuna presenza umana, neanche nelle vicinanze. A volte, qualcuno rivendica questi disegni, ma si può escludere che siano fatti a scopi pubblicitari. Nonostante la cosa irriti molto gli scettici, si presume che siano fatti da alieni e che rappresentino una qualche forma di comunicazione.


Alcuni disegni rappresentano concetti scientifici a volte complessi. Sembra, quindi, che la quasi totalità dei disegni nel grano rappresentino tecnologie/conoscenze scientifiche precise che gli alieni intendono passare all'umanità. Altri, invece, rappresentano oscuri; eventi astronomici. In questa sede ci si soffermerà sulla rappresentazione dei;tunnel spaziali e sui viaggi iperspaziali.


A quanto pare, gli Alieni possono viaggiare tra sistemi stellari molto distanti, in breve tempo, semplicemente utilizzando l'iperspazio (wormole). I tunnel spaziali (ringhole) non sono altro che dei wormhole stabili. Consentono di utilizzare distorsioni dello spazio, a forma di tunnel, che collegano velocemente due zone dell'Universo anche molto distanti tra loro. Consentono, quindi, di raggiungere una località lontana percorrendo un tragitto più breve e quindi, in un tempo minore. Per compiere tali tragitti, gli extraterrestri utilizzano delle gigantesche navi-madre di forma pressoché cilindrica.


Gli alieni hanno indicato, più volte, nei cerchi nel grano questo loro modo di viaggiare attraverso tunnel spaziali.
Ecco una rappresentazione schematica di come funzionerebbe il sistema:


Ecco, invece, cosa ci hanno disegnato nel grano al riguardo dei tunnel spaziali. Il disegno mostra un astronave madre schermata che entra in un tunnel spaziale.



Siamo a conoscenza di come gli UFO appaiono e scompaiono nel nulla. Esistono fotografie satellitari di scie lasciate da enormi UFO che appaiono e scompaiono nel nulla, come se utilizzassero delle porte tipo Stargate per andare e venire dal nostro pianeta. Infatti, è possibile che il "salto" nell'iperspazio possa avvenire già dal nostro pianeta, magari verso una tappa intermedia. Di sicuro siamo di fronte a sistemi di propulsione che vanno ben oltre la nostra immaginazione. Possiamo solo rimanere sbigottiti davanti a queste incredibili tecnologie che lasciano dei segni nell’atmosfera, come quelli rilevabili nelle seguenti foto satellitari:







giovedì 10 maggio 2012

Lo strano caso di Gerolamo Cardano

Veniamo a una cronaca veramente insolita. A raccontarla è il celebre matematico Gerolamo Cardano, occultista e fisico, che sosteneva di aver più volte sentito raccontare dal padre Fazio questa strana storia.

14 agosto 1491

Quando ebbi terminato i riti abituali, all'incirca alla ventesima ora del giorno, esattamente sette uomini mi apparvero, vestiti di abiti serici che somigliavano alle toghe dei Greci e che portavano anche dei calzari splendenti. Le vesti che indossavano sotto il pettorale brillante e rosso sembravano tessute di scarlatto ed erano di straordinaria bellezza. Tuttavia non erano vestiti tutti in tal guisa, ma solo due, che sembravano appartenere a un rango più nobile degli altri. Il più alto, dal colorito rubicondo, era accompagnato da due compagni e il secondo, dal colorito più chiaro e più piccolo di statura, da tre compagni. Cosi in tutto erano sette." Fazio Cardano precisava che i sette potevano avere tra i 30 e i 40 anni, portati bene. Quando chiese loro chi fossero, questi dissero d'essere uomini fatti d'aria e soggetti alla nascita e alla morte. "Comunque, la loro vita era più lunga della nostra e potevano campare sino a trecento anni. Interrogati sull'immortalità della nostra anima, affermarono che nulla sopravvive dell'individuo, che sia personale.
Quando mio padre domandò perché non avessero rivelato agli altri uomini luoghi ove si trovavano i tesori, risposero che ciò era loro vietato in virtù di una legge speciale che condannava alle più pesanti ammende colui che avesse comunicato quelle informazioni. Essi restarono con mio padre per più di tre ore. Ma quando egli pose la questione della causa dell'universo, non si trovarono d'accordo. Il più alto rifiutava di ammettere che Dio avesse creato il mondo eterno. Al contrario, l'altro soggiunse che Dio l'avesse creato poco a poco, di modo che, se avesse smesso di farlo, non fosse che per un attimo il mondo sarebbe perito...Che sia realtà o favola questo è quanto".

mercoledì 9 maggio 2012

Intervista a Frank Iodice

IL CAPITANO

 


Chi ha visto il video sul caso Cennina, probabilmente, sa a cosa mi riferisco. In passato, in seguito a certi avvistamenti, la gente del luogo notava che in paese erano arrivati molti "Capitani". Il termine è improprio e allude a personale che poteva far parte dei servizi segreti. Oggi sembra che il loro posto sia stato preso dai ben più famosi man in black.



Era il 26 settembre del 1952. Il sig. Carlo Rossi, nato nel 1899 a Saltocchio di Ponte (Moriano) e residente a San Pietro a Vico, si presentò alla Procura della Repubblica di Lucca per denunciare un fatto straordinario che aveva messo in pericolo la sua vita. Il fatto era avvenuto circa due mesi prima nella notte fra il 24 ed il 25 luglio.


Il Rossi, appassionato pescatore, soleva calare la sua “bilancia”, di prima mattina, in un punto del Serchio dove il fiume forma una grande ansa ed è più largo e profondo; il posto prende il nome di Piana dei Tacchini e si trova proprio di fronte a San Pietro a Vico in provincia di Lucca. Erano circa le tre del mattino e il testimone percorreva nel buio della notte un viottolo che lo avrebbe portato alla bilancia. In quel tratto, l’argine del fiume è molto alto e nasconde la vista dell’acqua a chi vi cammina parallelamente. All’improvviso la sua attenzione fu attirata da un insolito chiarore, del tutto innaturale, proveniente da un punto sul fiume. L’uomo, messo in allarme e incuriosito per l’insolito fenomeno, allungò il passo e percorrendo cautamente la distanza al riparo dell’argine, giunse all’altezza del punto da cui la luce veniva diffusa. Si arrampicò su per il terrapieno e si sporse. Pensò di essere in preda alle allucinazioni quando vide sospeso sull’acqua, a bassa quota, uno strano veicolo circolare che pareva rifornirsi d’acqua attraverso un lungo tubo che pescava nel fiume. La macchina, enorme, si librava in aria silenziosa ed era dotata di un complesso sistema di “eliche”.


Si riportano le testuali parole del Rossi, così come furono pubblicate sul giornale LA NAZIONE n.32 del 26-09-1952: - ... aveva un diametro che giudicai in circa venticinque metri. Un disco, proprio tondo, senza ammennicoli. Il suo spessore era di due metri. Dipinto di nero. Tutt’intorno, sullo spessore c’erano delle aperture ovali, come bocche. Direi che da quelle il disco aspirava l’aria che serviva probabilmente ad azionare il motore. Nel centro c’era una torretta, che sporgeva di tre metri al di sotto del disco e di mezzo metro al di sopra. Era trasparente come di vetro o di materiale plastico. Questa torretta avrà avuto un diametro di cinque metri, era grande, insomma, come una stanza. Si vedevano dentro quattro sottili tubi collegati con un grosso cilindro che stava nel mezzo. Una fiamma azzurrognola, con bagliori arancione simile alla fiamma ossidrica passava da un cilindro all’altro, alternativamente alzandosi e abbassandosi. Il bagliore veniva dalla torretta trasparente e si rifletteva perciò sulla superficie del disco rendendola luminosa. Quel disco volante aveva cinque eliche di sotto: eliche che uscivano per metà dal cerchio nero, disposte torno torno, equidistanti l’una dall’altra. Nella parte superiore, invece, le eliche erano tre: una grande quanto tutta la circonferenza del disco, le altre due in scala sempre più piccole... –


A questo punto il racconto di Carlo Rossi si fa sempre più interessante. L’uomo, in preda ad un misto di paura e curiosità, spiava immobile e attonito la macchina che ferma nell’aria emetteva un debole rumore, simile a un fruscio di seta. Ad un tratto un oblò si aprì nella torretta superiore del disco e si affacciò una figura umana che scrutò intorno. Con ogni evidenza, scorse il nostro testimone, poiché sporse un braccio, come per indicarlo a qualcuno che doveva trovarsi all’interno del disco. Il Rossi, dopo un attimo di stupore, si scosse e fuggì via in preda allo spavento, buttandosi a precipizio giù per la scarpata dell’argine. Era appena arrivato giù, quando intravide, sopra la testa, un raggio verde fendere l’aria nella sua direzione. Avvertì una scossa in tutto il corpo, come se fosse stato percorso da una scarica elettrica e atterrito si gettò al suolo. Alzando la testa vide il disco sollevarsi oltre l’argine e prendere quota rapidamente, sparendo a velocità spaventosa in direzione di Viareggio.


Il testimone non raccontò a nessuno la sua avventura, temendo di essere scambiato per un visionario; ma un ulteriore vicenda lo fece temere per la propria vita, spingendolo a rivelare il suo segreto all’autorità costituita.
Circa due mesi dopo, il 15 settembre, in pieno giorno, alle quattro del pomeriggio, il Rossi si era recato al suo abituale posto di pesca e giungendovi, vi trovò un’altro pescatore a lui sconosciuto. Il tipo, dall’aspetto di uno straniero, indossava una tuta azzurra e aveva una corta canna da pesca. Molto magro, alto, dal naso affilato e con strani occhi grigi, cercò di attaccare subito discorso esprimendosi in un italiano corretto, ma marcato da un accento che il testimone non riuscì a riconoscere. Avviata la conversazione, lo sconosciuto gli domandò se avesse mai veduto sul fiume aeroplani o altri oggetti volanti. Il Rossi, diffidente, gli rispose di non aver mai veduto nulla. La conversazione proseguì per un pò e il misterioso interlocutore gli offrì una sigaretta. Il testimone notò che era diversa da tutte quelle, anche estere, che lui conosceva. Era molto lunga e sottile, aveva impresso sul bocchino una marca dorata che non conosceva e che in quel momento non pensò di decifrare. Appena accesa e tirate un paio di boccate di fumo, il Rossi si sentì invadere da un senso di stordimento e di nausea. Con un gesto istintivo spense la sigaretta e fece l’atto di riporla nel taschino. Allora l’altro, inaspettatamente gli afferrò il polso, gliela stappò di mano e ridottala in minuti pezzetti, la gettò nel fiume. Poi, senza aggiungere altro si allontanò velocemente, quasi di corsa.


Qui termina la misteriosa vicenda. Tutto finì con un articolo di cronaca, giacché dai sopralluoghi, nulla fu possibile scoprire. Opportuna fu invece un indagine condotta da Siro Menicucci, del Gruppo di Ricerca per lo Studio dei Fenomeni Ufologici di Prato. Egli, infatti, riuscì a rintracciare i familiari di Carlo (il quale non era stato identificato, se non come Carlo N.) e a contattarli; il testimone, era deceduto già da una decina d’anni. Sergio Rossi, il figlio di Carlo, raccontò che i fatti si erano svolti esattamente come raccontato dai giornali. Si ricorda perfettamente dello stato d’agitazione del padre che dopo l’incontro con lo strano personaggio, continuava a ripetere: - Non mi vorranno mica fare qualcosa perché ho visto quell’affare lì! –
Aggiunse che l’uomo che offrì la sigaretta al padre era stato rivisto; ma Menicucci si accorse che, in proposito, egli non voleva aggiungere altro. Fu solo grazie all’aiuto di Mario Bandoni (il quale abitava accanto al viottolo che Carlo rossi percorreva per recarsi a pescare nel fiume Serchio) che si apprese che il misterioso personaggio con la tuta azzurra era un militare, il quale fu visto ancora in paese, come aveva già affermato Sergio Rossi.


sabato 5 maggio 2012

A LETTO CON L'ALIENA



In questo episodio de “I FABBRICANTI DI UNIVERSI”, Adam, che ha le sembianze di Filruo, affronta qualcosa di raccapricciante. Serel, che ha mangiato la foglia, cerca di ottenere la prova definitiva che quello non è suo marito. Gli somiglia come una goccia d’acqua, ha i suoi ricordi, ma non si comporta come dovrebbe. Dal canto suo, Adam ha delle remore: sa, dalle memorie di Filruo, com’è fatta una femmina aliena ma, l’idea di andarci a letto lo sconcerta. Ha sognato che Serel ha una lingua verde e appiccicosa e per tranquillizzarsi, da una sbirciatina sotto le coperte: ciò che vede lo rassicura. Tuttavia, la donna che è sulla difensiva, ha delle movenze inusuali: procede a scatti brevi e veloci, come fanno gli scorpioni. Come se non bastasse, la sua cavità oculare appare dotata di una seconda palpebra, traslucida. Adam, preso da un istintivo senso di ribrezzo, la sente allontanarsi, con una certa soddisfazione.





Cercai di trattenere una risata ma, non fu possibile. Con una certa meraviglia mi resi conto di non essere lucido e non ero il solo. Quel piccolo bicchiere conteneva una soluzione concentrata di alcol e stupefacenti.
Serel scosse la testa. Si avvicinò e con la forza propria della sua specie, mi sollevò di peso portandomi fin sul letto, posto nell’altra stanza.
Mi trovavo nella camera di un’aliena, in compagnia di un’aliena, chissà se gli Urani... fui preso da una strana inquietudine. Ebbi la tentazione di andarmene ma, ormai le forze cominciavano a mancarmi. L’ultima cosa che vidi era Serel che cominciava a spogliarsi.
Non ricordo di aver fatto sogni tranquilli. Sveglio, vidi che Serel, coricata accanto a me, mi osservava con interesse. Fui attratto dalle sue forme, perfette. Nonostante fosse un’aliena, non era poi molto diversa da una qualsiasi donna umana.
- E va bene, quanto tempo ho dormito?
- Hai perso la nozione del tempo?- Rispose.
Ripensandoci, avevo notato che gli Urani non portano orologi, questo non vuol dire che all’occorrenza non misurano il tempo ma, normalmente, si servono di una sorta di orologio biologico. In altre parole sono dotati di un istintivo senso del tempo.
- Come stai?
- Bene. – Risposi, ma sentivo l’insidia di quella domanda.
- Non sapevo che una “Nana Bianca” potesse farti quell’effetto!
Il tono allusivo e il particolare atteggiamento di Serel sembravano non lasciare alcun dubbio sul particolare effetto della bevanda ma, ancora una volta, avvertivo l’insidia. Serel mi stava mettendo alla prova! Non risposi. Continuai a fissarla con l’aria di chi la sa lunga.
- Volevo dire - Aggiunse senza mezzi termini - che sei stato particolarmente virile.
Mi stava sfidando. I suoi gesti invitanti, le sue parole erano una provocazione che ero costretto ad accettare. Mentiva. Era chiaro che mentiva: ero più che sicuro di aver solo dormito; oppure no?
L’ultimo ricordo era inquietante: Serel che... si spogliava.
- Chiudi gli occhi! Dai chiudi gli occhi - mi disse - voglio farti una sorpresa.
Mentre pronunciava quelle parole vidi qualcosa nei suoi occhi, era una specie di membrana traslucida, una seconda palpebra che, per un breve istante, li aveva coperti scorrendo in senso orizzontale. Serel, involontariamente, aveva avuto un istintivo battito di quella insolita quanto sconcertante palpebra. Mi sentivo in trappola, come un insetto nella tela del ragno. Dovevo assolutamente uscire da quella situazione. Comunque chiusi gli occhi, scacciando pensieri di Serel che mi baciava con una lunga lingua verdastra. Con sollievo, la sentii sgusciar via silenziosamente, alla stregua di un grosso insetto velenoso.