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sabato 31 marzo 2012

Senza tempo: mondi alieni ma non troppo III

Del pianeta Uro si sa davvero poco. I fatti narrati avvengono mentre il pianeta sta già morendo: lo dicono i notiziari.

la Cosa, dopo aver devastato l’impero degli alieni, si avvicinava pericolosamente a Uro. Di fronte alla catastrofe questi umanoidi evacuavano i loro mondi e alcuni di loro, si diceva, sarebbero arrivati qui, sulla Luna.
Il comandante Vlambik ha un triste presentimento.
Noi abbiamo già perso i nostri mondi: ho il presentimento che non torneremo più su Uro.

Questo, mentre gli umani offrono accoglienza ai profughi.
Sire, posso assicurarvi che è stato fatto tutto il necessario per accoglierli nel migliore dei modi. Il personale è stato selezionato, tutti i membri della stazione hanno già avuto rapporti con la cultura aliena, alcuni hanno perfino vissuto per qualche tempo su Uro. Abbiamo adeguato gli alloggi e la mensa, nulla è stato trascurato.

La cucina urana lascia molto a desiderare. Ecco una donna urana, Serel, estasiata dalla bontà dei nostri cibi.
-           È tutto assolutamente vero!
-          Serel, a cosa ti riferisci?
-          Al cibo!  Ne avevo sentito parlare: si dice che se c’è una cosa che gli Umani sanno far bene, quello è cucinare. Non so cosa ho mangiato e non voglio saperlo ma, era tutto squisito.
-          Beh! Anch’io avevo sentito pronunciare quella frase ma, mai con quel fervore. Cosa ne pensi della bevanda?
-          É inebriante. Direi che non c’è niente di simile in tutto l’impero di Uro!
-          Ne sembri entusiasta.
-          Sì, infatti lo sono!
-          Non credevo che certe attività umane ti piacessero così tanto.
-          Questo perché non le conoscevo. Non c’è un solo locale di questo tipo in tutto l’impero di Uro.
-          Già! E temo che nemmeno qui sia possibile trovare un solo ristorante urano.
Questo trafiletto sentenzia la fine di Uro
            -         L’impero di Uro non esiste più.
-          La Cosa?
-          Sì, la Cosa. L’osservatorio astronomico della difesa mi ha, da poco, comunicato che la Cosa ha raggiunto l’estremo quadrante dell’impero e come ben sai, dovremo aspettare che abbandoni l’area prima di poterne verificare la metamorfosi. Le comunicazioni erano già cessate da tempo e non conosciamo il numero delle vittime ma, con tutta probabilità, questi che sono tra noi sono gli ultimi rappresentanti della razza urana.

Qui apprendiamo qualcosa sugli enormi scorpioni che vivono su quel pianeta. 
-          Va bene basta così. Il fenomeno è spiegato: quel gas brilla alla luce ultravioletta.
-          E le sembra una cosa normale?
-          Perché no. Ricordatevi che anche gli scorpioni hanno questa caratteristica.
Il riferimento agli scorpioni fu infelice: su Uro questi invertebrati sono eccezionalmente grandi e temibili. Nominarli, in quella circostanza, non servì di certo a tranquillizzare la mia squadra.

venerdì 30 marzo 2012

IL PIANETA DI DIO

I miei occhi si erano aperti su di un paesaggio costiero dove primeggiava il bianco. Un bianco assoluto, splendente di una luminosità fredda e palesemente artificiale, interrotta da trasparenze simili a quelle delle gemme preziose con tonalità appena accennate, tendenti all’azzurro.

È così che si presenta il pianeta di Delfina ma, in realtà. È una sensazione indotta artificialmente. I sensi di un essere umano non potrebbero percepire nulla su in un mondo in cui la temperatura si avvicina allo zero assoluto.

-      É tutto falso vero? Avete costruito questo scenario solo per me!
-      Abbiamo dovuto, non avresti potuto vedere niente, non c’è luce qui. Ne sentire, non c’è aria, non ci sono suoni, non ci sono odori. Niente da mangiare o da bere e nemmeno da toccare. Tutto è duro è freddo come il metallo!

Eppure sembra tutto vero!

Era buio ma non come mi aspettavo, c’era una luminosità soffusa e si poteva vedere il mare. Lontano brillavano le luci di una grande città.

Mi diressi verso quelle che sembravano le luci di un’improbabile città. Cominciai a domandarmi se ero veramente là. Se mi trovavo su quello strano veicolo oppure se ero ancora tranquillo e sdraiato nella mia bolla. Ma tutte le sensazioni per quanto improbabili sembravano proprio vere. La luce notturna, la via illuminata, i suoi capelli che si agitavano nel vento relativo, il calore e le forme del suo corpo che si stringeva al mio; tutto perfino la concentrazione e la fatica erano reali o perlomeno sembravano tali al di la d’ogni ragionevole dubbio.

Chi abitava questo mondo? Principalmente una razza millenaria, che si era adattata a quelle condizioni impossibili assumendo una forma gassosa.

-    Una volta, miliardi d’anni fa, misurando il tempo con il vostro metodo, questo sistema aveva un sole, come il vostro. Il nostro pianeta, come tanti altri, era pieno di vita: verdeggianti foreste ricche di flora e di fauna. Ci siamo evoluti dai primati ed eravamo molto simili a voi. Ma la nostra evoluzione è andata oltre, man mano che le condizioni ambientali cambiavano, cambiavamo anche noi. Con la nostra conoscenza avanzata della biologia e della genetica accelerammo in modo incredibile questo processo. Così sopravvivemmo alla morte del nostro sole, che si trasformò nel vortex in cui siete incappati. Fu la fine del nostro sistema planetario, ma noi sopravvivemmo. La nostra forma attuale l’avete vista ma, siete troppo arcaici e non l’avete riconosciuta.
-     Ma, non abbiamo visto niente! L’astronave era totalmente vuota.
-    Vuota dici? Non sei stato forse tu il primo a notare uno strano gas? Un gas che si manteneva nel suo stato di aeriforme anche a temperature che avrebbero dovuto liquefarlo?
-     Voi, eravate voi, incredibile! É così che siete?

Sul pianeta vivono anche altre forme di vita intelligente.

Cominciavo a distinguere l’abitato. Una vera città, con piazze, case grattacieli, strade illuminate e traffico veicolare. Incrociammo i primi veicoli, potevo notare, attraverso la cortina di vetro oscurato delle figure che sembravano umane. In lontananza, uno stormo di grossi uccelli scendeva verso la periferia.

Quelli che in lontananza mi erano sembrati uccelli, in realtà erano degli orribili mostri alati. Avevano cosce robuste e piumate, e gambe nude e sottili come quelle dei rapaci. I piedi erano provvisti di tre robuste dita artigliate, il tutto dava un’impressione di grande potenza. Il tronco aveva forma umana, era dotato di braccia e di grandi e potenti ali pennute, che spuntavano dalla schiena. Il torace e le spalle erano larghi e incredibilmente muscolosi. Il corpo sembrava essere nudo, privo di quelle piume, che ricoprivano le cosce; poiché lo riparava un giubbotto di pelle, simile a quello degli aviatori. Il collo era esile, teso in avanti, lo sormontava una testa umana dall’aspetto al tempo stesso fiero e cattivo.

Per quanto incredibile, sembra che esseri simili siano stati avvistati qui, sulla nostra Terra, nel corso della seconda guerra mondiale. Ma qualcosa di ancora più sconcertante attende Adam all’interno di un tempio.

Mi resi conto che eravamo entrati in una grande aula circolare al centro della quale sedeva un individuo dall’apparenza vecchio, ma ancora vigoroso. Era circondato da molteplici schiere di candidi Guardiani alati, che cantavano estasiati. Mentre passavo in mezzo a loro ebbi modo di notare che non avevano più quell’aria cattiva, il loro sguardo era dolce e mite come quello delle anatre. Restavano comunque molto brutti.
Non appena ci vide, il vecchio allargò le braccia; con quel gesto caloroso ci invitò ad avvicinarci. Passammo attraverso lo stormo di Guardiani, che proprio come piccioni, si scansavano al nostro passaggio. Il vegliardo abbracciò con affetto Delfina e avrebbe voluto fare lo stesso con me, ma non ero in vena di confidenze; comunque, non se la prese. Delfina, invece, mi lanciò un’occhiataccia di rimprovero.
-      Dunque, sei arrivato! – Disse il vecchio.
A guardarlo bene, somigliava molto a Sargon, aveva un aspetto saggio e maestoso. Sembrava molto sicuro di se, troneggiava sui suoi guardiani e tuttavia mancava, nel modo più assoluto, di alterigia. Si mostrava amorevole con tutti, come se fossero tutti suoi figli prediletti. Pensai a quello che mi aveva appena detto: contrastava con quel che mi aveva rivelato Delfina.
-      Mi aspettavate? – Dissi guardandola.
Lei gli rivolse lo sguardo come per scusarsi di un errore.
-      Da tanto tempo, ragazzo mio.
-     Ma io, io sono qui per puro caso; non avevo intenzione arrivarci, non sapevo nemmeno della vostra esistenza.
-     Non esiste il caso ragazzo, tutto fu stabilito dal principio.
-     State cercando di confondermi? Ci riuscite molto bene!
-     Adam – intervenne Delfina – Lui non è come noi, lui è...
-     Capisco la interruppi, devo sembrarvi molto primitivo e devo ammettere, certo, ammetto che la vostra tecnologia mi appare come magica. Ma è tutto qui o forse volete convincermi che sono al cospetto dell’Altissimo?
Delfina molto imbarazzata, muoveva le labbra, ma non riusciva a parlare. Con uno sforzo riuscì a liberarsi da quella situazione di estremo disagio e annunciò: - Ma lui è, è il Creatore! –

Non è facile credere di essere al cospetto di Dio, anche perché tutto ciò che fino a quel momento gli hanno mostrato, per loro stessa ammissione, non era reale. Adam venne quindi privato del portentoso scenario tecnologico e immesso nella cruda realtà.


Ricaricato il reattore, accesi gli illuminatori, regolando la loro emissione sulla frequenza dello scan. Solo così riuscii ad avere un’immagine, almeno sintetica, di quel che mi circondava. Le altre lunghezze d’onda non venivano riflesse. Un territorio aspro e brullo. Sarebbe sembrato bianco a causa dell’anidride carbonica solida. Freddo al di la d’ogni immaginazione. Ero rimasto completamente solo. Sparite le luci, le strade, le costruzioni e pure la gente. Niente atmosfera. Alcuni banchi gassosi sembravano essere posizionati in profondità nel sottosuolo; erano gli abitanti? Non fu possibile stabilirlo. Ora che tutto sembrava come doveva essere, cominciavo a chiedermi se era davvero questa la realtà. Li avevo davvero visti? Avevo veramente incontrato Delfina o era stato tutto un sogno? Non ero mai stato così confuso.

mercoledì 28 marzo 2012

Senza tempo: mondi alieni ma non troppo II

Luna è il pianeta dove sorge La capitale, un’unica grande città di dimensioni planetarie, sede del governo Federale. All’epoca risulta affollata dagli esuli che arrivano a frotte da ogni parte della Galassia. Ecco cosa ci dice, a proposito, Adam.

La Cosa dopo aver devastato l’impero degli alieni, si avvicinava pericolosamente a Uro. Di fronte alla catastrofe, questi Umanoidi evacuavano i loro mondi e alcuni di loro, si diceva, sarebbero arrivati qui, sulla Luna. Tra non molto, pensai, questa capitale sarà veramente troppo affollata.

Ma anche Luna è condannata. Questo è quanto afferma il Re: - la Luna è condannata; la Cosa sta arrivando anche qui.

Naturalmente, non si tratta della Luna che ben conosciamo, ce lo rivela Adam alla fine della storia.

Per ore, esplorai il pianeta e anche lo spazio circostante: l’Universo, così come noi lo conoscevamo era scomparso. Attorno al pianeta orbitava un satellite. Era un satellite piuttosto grande, mi venne da pensare che fosse stato trascinato fin qui dall’immane forza degli eventi.

Infine.

Il cielo notturno era illuminato dalla luce del piccolo astro, che chiamammo Luna, in onore del nostro pianeta.

martedì 27 marzo 2012

Senza tempo: mondi alieni ma non troppo.

In questa sessione illustreremo, brevemente, i mondi alieni (ma non troppo) del romanzo Senza tempo. Ricordiamo che alcuni di essi rappresentano la culla dell’umanità, poiché la nostra Terra ancora non esisteva (comparirà alla fine del racconto) e l’umanità, a quel tempo, abitava altri pianeti, simili al nostro: Eden è uno di questi. Viene definito come un pianeta agricolo, è anche il posto dove è nato Adam, lui stesso ce lo dice, già nel primo capitolo.

I pianeti agricoli possono disporre per la propria difesa solo di squadriglie di caccia a corto raggio; l’arsenale non contemplava le grandi navi, che sono dotazioni federali. Il desiderio di solcare lo spazio infinito mi aveva quindi spinto a lasciare Eden, il mio pianeta natio, per recarmi nella capitale. Lì cercavano piloti: per quello ero venuto.

Adam ha nostalgia della sua patria? Continuando a leggere, sembrerebbe di sì.

Il sole era ancora alto e io avevo una gran fame, ma non mi andava di tornare a casa, anzi per meglio dire, a casa di Sapel. Così mi fermai in un vicino posto di ristoro. Il posto era piccolo ma, accogliente, mentre si mangiava era possibile vedere i notiziari su di un piccolo schermo. Evidentemente era molto di moda qui, sulla Luna. A parte questo, mi ricordava molto un posto che si trovava su Eden.

Senza tempo inizia con lo sbarco di Adam su Luna, un pianeta di cui parleremo in seguito. In realtà si tratta di un ritorno: lo apprendiamo da un dialogo tra lo scienziato Gik, il saggio Sargon e il sovrano che regna sulla confederazione dei pianeti.  

-          Adam, certo me lo ricordo, siamo stati insieme in accademia. Indole solitario, parlava poco, ascoltava soprattutto ma, quando interveniva era capace di spiegare con parole semplici argomenti anche molto complessi. Non piaceva alla maggior parte dei suoi insegnanti, ma piacque a Sargon, fin dal loro primo incontro.
-          Ricordo – aggiunse Sargon – era come se fosse sempre un passo avanti agli altri, aveva un intuito formidabile. Era solo, ma per scelta. Aveva pochi amici, ma fidati. Mi piacque perché era assetato di sapere, del vero sapere: la “conoscenza”.
-          É scritto che: la conoscenza e non la scienza, rappresenta il vero sapere; quello che conduce l’uomo alla saggezza. - Disse Gik parafrasando il libro di Sargon.
-          Sei proprio tu la dimostrazione vivente che uno scienziato non può essere un saggio!- Rispose Sargon, risentito.
-          Adam – intervenne il Re – ora ricordo, molto tempo fa qualcuno, non tu - disse rivolgendosi a Sargon – lo stimava come futuro membro del consiglio, poi non ne seppi più nulla.
-          Se ben ricordo, Adam abbandonò la capitale e si ritirò sul pianeta Eden. - Disse Gik.

Già! Ma perché un giovane dalla carriera così promettente abbandona tutto e tutti e se ne va? La vicenda ha a che fare con uno strano viaggio.

-          Il pilota era Adam! – Lo interruppe il Re – ora ricordo, lui doveva essere il comandante di quella spedizione. Se il viaggio avesse avuto successo, ne avrebbe ricevuto fama e onori.
-          E gli avrebbe assicurato un posto nel Consiglio – aggiunse Gik – ma il tentativo fallì e lui per la delusione se ne ritornò su Eden.

 Poi, tra lo stupore di tutti, tornò.

-          Cosa cerchi Adam, perché sei tornato qui?
-          Io non cerco niente, sono tornato perché mi sembrava inutile restare su Eden. Lì non ho più nessuno.

Sì ma, com’è un pianeta agricolo? Questa è una cosa che ho lasciato alla vostra immaginazione. Si sa, però, che l’agricoltura è solo l’attività prevalente, poiché esistono anche industrie.

Come se fosse un animale domestico, un piccolo mobile meccanizzato avanzò lentamente verso di me. Conoscevo bene questi aggeggi, i migliori erano prodotti su Eden ed esportati dappertutto. Erano caratterizzati dalla possibilità di eseguire programmi personalizzati, così da rendersi utili in diverse occasioni. Questo era programmato per servire delle bevande. Noi le avremmo chiamate liquori.

domenica 25 marzo 2012

SI E' SUICIDATA FAKHRA YOUNAS PAKISTANA SFIGURATA DAL MARITO CON L'ACIDO

Si era sottoposta a ben 39 interventi chirurgici per tentare di riavere il suo volto. Autrice del libro "Il volto cancellato"


Si è lanciata da una finestra del sesto piano a Roma. Fakhra Younas, l’ex danzatrice pakistana sfregiata dal marito con l'acido, autrice del libro “Il volto cancellato”, è morta sabato scorso intorno alle 11.30 in via Segre, nel quartiere di Tor Pagnotta. Diventata un simbolo per molte donne islamiche, Fahkra viveva in Italia dal 2001 insieme al figlio Nauman, oggi di 17 anni. Era fuggita da Karachi, in Pakistan, dopo che il marito l'aveva sfigurata con l'acido nel sonno perché lei gli aveva chiesto il divorzio. Si era sottoposta a ben 39 interventi chirurgici per tentare di riavere il suo volto, ma non si era mai ripresa e aveva già tentato tre volte il suicidio. Negli ultimi tempi, come riporta La Repubblica, non si presentava più alle visite con il suo psichiatra. E le operatrici che l'avevano seguita nella casa di accoglienza madre-bambino dell'Infernetto erano preoccupate da quando si era trasferita: “Senza una continua assistenza, si sentiva abbandonata”.

venerdì 23 marzo 2012

Le astronavi di "Senza tempo" III

Vi sono anche astronavi private, hanno le dimensioni di una grossa automobile e sono usate anche per spostarsi su strada ma, non sono alla portata di tutti. Sargon è uno di quei fortunati.

Sargon fu svelto, praticamente lo trovai già fuori a bordo di uno scarabeo.
-          Dove siamo diretti?
-          Questo veicolo è in grado di portarci velocemente ovunque vogliamo.
-          Sì, infatti, è in grado anche di volare; ma non hai risposto alla mia domanda.
-          Siamo diretti a Saccara.
-          Saccara! Ma è su di un altro pianeta!  Cosa ci andiamo a fare?
-          Lo scarabeo è piccolo come una vettura ma ha un motore molto potente, è capace di viaggiare nello spazio anche a velocità cinque. In un’ora saremo a Saccara!
Sargon condusse lo scarabeo fuori dall’atmosfera poi iniziò la sequenza tecnica: una serie di operazioni preliminari tese a mettere la navetta e i suoi occupanti in grado di sopportare la tremenda accelerazione. Terminata, in pochi minuti, la sequenza, Sargon spinse in avanti la leva della potenza e in un istante raggiunse velocità uno punto cinque: quella della luce. Restammo a questa velocità per qualche secondo, il tempo che Sargon impiegò per un ulteriore fasamento. I dispositivi di bordo tra l’altro, avevano già provveduto ad accelerare i nostri riflessi. Infine spinse la leva al massimo e la velocità ricominciò a salire. I contorni dell’abitacolo ripresero il loro aspetto normale; cessava la distorsione caratteristica dovuta alla velocità. A cinque l’indicatore della temperatura andò sul rosso: lo scarabeo si surriscaldava. Piccolo com’era, non poteva sostenere a lungo quella velocità.
-          Non è certo un caccia. - Mi disse Sargon indovinando i miei pensieri - ma potremo restare a velocità cinque per il tempo necessario.

Lo scarabeo non è adatto ai lungi viaggi. Ancora una volta si rileva come le apparecchiature di bordo sono indispensabili al volo iperspaziale ma, producono effetti collaterali sui cosmonauti.

Col pensiero scivolai via dall’abitacolo dello scarabeo fino a raggiungere un posto lontano in un lontano passato.
-          Ormai, non è più possibile ... - Lei alzò la testa; io la fissai. Notai i suoi occhi: non erano mai stati così neri e profondi, pieni di disperazione e di tristezza. Pensai al significato della parola ormai: “Arrivati a questo punto”.
-          Nessuno - gli risposi - dovrebbe mai dire: ormai.
Uno scossone mi riportò di colpo alla realtà. Era normale che il piccolo veicolo sobbalzasse di tanto in tanto; data la velocità. Notai che anche Sargon, nonostante fosse intento alla guida, era assorto nei suoi pensieri: subivamo l’effetto della dilatazione del tempo.

Le astronavi di "Senza tempo" II

Leggendo Senza tempo ci s’imbatte in navi stellari piccole e grandi. Le navi di classe Ultralux sono, in assoluto, le più grandi e suscitano curiosità e ammirazione. Leggiamo, qui di seguito, lo stupore di Adam quando, per la prima volta, viene a trovarsi di fronte a un Ultralux.

Volevo vedere l’Ultralux da vicino. Ne conoscevo le caratteristiche e i dettagli appresi dalle monografie ma, ora volevo vederne uno dal vivo. Era straordinariamente grande, anzi era enorme, perfino se rapportato agli altri grandi vascelli: il solo muso riempiva tutto il campo visivo! Affascinato, stetti lì a osservarlo per un bel po’.

Un Ultralux, modificato per affrontare un viaggio di durata indeterminata, poteva assicurare la sopravvivenza di quattrocento esseri umani. Questo vuol dire che oltre allo spazio per persone e cose, c’erano ampi spazi per fabbriche, officine e campi coltivati. Ma vediamo l’effetto che aveva sui guerrieri Urani la vista di uno di questi vascelli.

Nel circuito di avvicinamento spaziale, la potente nave da guerra urana transitava nelle vicinanze di un Ultralux in versione militare. Ad una distanza così ridotta, la nave aliena appariva piuttosto piccola di fronte a quella sorta di super vascello; suscitando l’ammirazione dell’equipaggio e del suo ardito comandante.

mercoledì 21 marzo 2012

Le astronavi de "I FABBRICANTI DI UNIVERSI"

   Stavo comodamente seduto al tavolino del bar. La ragazza di fronte a me sorrideva con aria sognante, lo sguardo fisso e vuoto verso un angolo del soffitto. La dilatazione del tempo aveva maggior effetto su alcune persone: lei era una di quelle. Per certi versi l’effetto era paragonabile a quello dell’alcool: c’è chi lo regge bene e chi è ilare già al primo bicchiere. Notai una goccia di condensa scivolare giù rigando il suo calice ghiacciato, fino a staccarsi e precipitare. Rallentò la sua corsa fino a fermarsi del tutto: restò sospesa a mezz’aria. Per un attimo mi apparve perfettamente immobile, come tutto il resto su quella nave. Poi di colpo cadde, spiaccicandosi sul pavimento. Il tempo, dopo essersi fermato, aveva ripreso a scorrere: la nave stava affiorando dall’iperspazio. Vidi il sorriso della mia compagna di viaggio divenire freddo, come se in quell’istante stesse cominciando a chiedersi perché ridesse tanto. La maggior parte dei viaggiatori nemmeno avverte questi effetti; piccole ma complesse interazioni che coinvolgono contemporaneamente tempo,spazio, accelerazione e gravità, anche perché sono molto ben compensate dalle apparecchiature di bordo. Ecco io invece, notavo proprio gli effetti innaturali della compensazione.


Comincia così “I FABBICANTI DI UNIVERSI” il romanzo che narra del viaggio avventuroso di Adam attraverso il tempo, lo spazio e le dimensioni parallele. Una personale Odissea nello spazio, un viaggio a bordo di vascelli di vario tipo. In questa sede,  ho l’intenzione di condurre il lettore a scoprire, sui riferimenti del romanzo, tutto quanto è possibile su questi futuristici mezzi di trasporto. In questo trafiletto, per esempio, apprendiamo che, per viaggiare su di una nave a velocità superiore a quella della luce, occorrono meccanismi e apparecchiature di bordo in grado di compensare certi effetti indesiderati, i quali, a lungo andare, risulterebbero deleteri per passeggeri ed equipaggio.

   In quanto alla velocità Adam ci dice:

Le navi di linea non superavano la velocità tre punto cinque (uno punto cinque è la velocità della luce n.d.r.): a questa velocità gli effetti del volo nell’iperspazio sono lievi e ben compensabili. Ben altra cosa, invece, era volare su un caccia eccellente come lo Strale, che raggiungeva velocità cinque!


martedì 20 marzo 2012

CHI, PUO' FERMARE IL TEMPO?



Confrontando il primo testo, tratto dal Protovangelo di Giacomo, con il successivo stralcio tratto dal racconto “L’anello di Sator”, noteremo una certa somiglianza. Nel primo, il protagonista è Giuseppe padre di Gesù, nell’altro è Salvatore, un contadino che incappa in un’oggetto che ha uno strabiliante potere. La fede può farci credere che, durante la natività, Qualcuno fermò il tempo. Ma una tecnologia molto avanzata ci apparirebbe come magica e le sue implicazioni ci farebbero gridare al miracolo.
"Trovò quivi una grotta: ve la condusse, lasciò presso di lei i suoi figli e uscì a cercare una levatrice ebrea nella regione di Betlemme.
Io, Giuseppe, camminavo e non camminavo. Guardai nell'aria e vidi l'aria colpita da stupore; guardai verso la volta del cielo e la vidi ferma, e immobili gli uccelli del cielo; guardai sulla terra e vidi un vassoio giacente e degli operai coricati con le mani nel vassoio: ma quelli che masticavano non masticavano, quelli che prendevano su il cibo non l'alzavano dal vassoio, quelli che lo stavano portando alla bocca non lo portavano; i visi di tutti erano rivolti a guardare in alto.
Ecco delle pecore spinte innanzi che invece stavano ferme: il pastore alzò la mano per percuoterle, ma la sua mano restò per aria. Guardai la corrente del fiume e vidi le bocche dei capretti poggiate sull'acqua, ma non bevevano. Poi, in un istante, tutte le cose ripresero il loro corso."


"Percepì qualcosa di strano, il silenzio soprattutto, ma non solo quello. Si avvicinò alla finestra e rimase sconcertato. Corse subito alla porta e uscendo all’aperto s’imbatte in un uccello: era immobile nell’aria! Le sue ali non battevano ma l’uccello rimaneva lì, come sospeso: non si muoveva e non cadeva. Lo prese e lui si animò. Non cercò di fuggire, sembrava privo di ogni volontà. Lo spostò. Non appena lo lasciò andare, rimase fermo nell’aria, nella sua nuova posizione. Come poté notare, tutto era fermo: gli uomini, le macchine, gli animali. Il sole era fermo nel cielo, la luce era strana, il tempo non scorreva più. Non c’era un alito di vento. Le foglie che si erano staccate dagli alberi non si muovevano e non cadevano: tutto era immobile. Preso da una strana agitazione si rigirò tra le mani l’anello. Ancora quel piccolo scatto e subito, tutto tornò alla normalità: il tempo ricominciò a scorrere."

 

domenica 18 marzo 2012

Adam sul monte Tabor

In quest’altro stralcio di “Senza tempo” continua, al capitolo XL, la vicenda pubblicata alcuni giorni fa su questo stesso sito. Ricordiamo al lettore che Serel, come nel capitolo precedente, indossa abiti etnici maschili. 

-          Siamo giunti sul posto, è qui che ci hanno segnalato la sua presenza, Comandante. – Riferì il pilota dell’aereo.
-          Vedo che avete silenziato quest’apparecchio, era ora: non sopportavo più il rumore. – Disse Serel.
-          Bene, esegui una scansione con gli strumenti di bordo, individua la sua posizione.
-          Eseguo. L’ho individuato, dritto davanti a noi, in basso. Ma cosa?
-          Quel riverbero cos’è? – Chiese Serel.
-          E’ lui o meglio quella tunica che porta addosso, ha cominciato a brillare sotto l’azione dello    scan!
-          Signore qualcosa ha preso l’aereo!
-          Che significa: “qualcosa”, si spieghi meglio.
-          Gli strumenti non mostrano niente, ma avverto una difficoltà particolare nel manovrarlo; il veicolo non si muove liberamente!
-          Ma cosa ci blocca? – Chiese Serel.
-          Un campo di forza probabilmente, creato da un’energia sconosciuta. Credo che ci stiano esplorando!
-          Alzo gli scudi, Signore?
-          No, potrebbe essere interpretato come un atto ostile. Ci faccia scendere il più vicino possibile, ci riesce?
-          Di qualsiasi cosa si tratta è molto efficace, più ci avviciniamo e più si rafforza: non riesco ad uscire da questa situazione!
-          Scendiamo qui. Useremo le dotazioni di salvataggio.
-          Cosa! In una zona impervia, con questo buio? Ci spezzeremo le gambe cadendo sugli alberi o sulle rocce!
- Serel... resta a bordo, vado io! – Detto questo azionai la leva che apriva lo sportello di lancio e senza esitare mi buttai giù. Serel mi seguì a ruota. Nel buio non la vedevo, ma la sentivo imprecare, in alto, sopra di me. Scendevo piano, in modo da aver più tempo per abituare gli occhi all’oscurità. Dopo un po’ riuscivo già a scorgere le sagome degli alberi, completamente scure e fra gli alberi, in lontananza, l’uomo dalla tunica fosforescente.
Le odierne cinture di salvataggio permettono non solo di regolare la discesa ma anche la rotta, per cui, seppur con qualche limite dovuto all’altezza, si può procedere in una certa direzione.
L’uomo era facilmente raggiungibile. Allontanatosi dal gruppetto di seguaci, si era posto ai margini di una piccola radura. Sembrava volesse facilitarci il compito. Toccai terra con facilità, Serel scese subito dopo.
Mi avvicinai.
-          Tu... tu non sei di questo mondo! – Dissi additandolo.
-          Sono nato qui, come un figlio d’uomo.
-          Nessuno di questi uomini è come te!
-          Sì, eppure io sono qui per loro, ma anche per te.
Ricordai quanto mi aveva detto Delfina: “troverai un maestro, lui t’indicherà la strada del ritorno”.
-          Ma tu non mi conosci! – Dissi, per metterlo alla prova.
-          Io ti ho visto, nel disegno del Padre, molto, ma molto prima che tu nascessi.
Non mentiva, lo sapevo. Le sue parole erano... verità. Dimostrava di avere solo trent’anni ma, dal suo essere si sprigionava una saggezza millenaria. Sì mi aveva visto, di sicuro era già là mentre si scriveva il mio destino, in un posto senza tempo, prima ancora che io nascessi.
-          Sei un Antico? – Gli chiesi.
-          Ti meravigli che taluni siano in grado di formare pianeti o di creare sistemi? In verità ti dico che questa capacità è ben poca cosa! Ma non tergiversare, il mio tempo è prezioso, ancora un poco e non sarò più qui. Chiedi dunque e io ti risponderò.
-          Ma io vengo da un altro posto, da un altro tempo...
-          Ed è là che vuoi ritornare.
-          Sì è così. – Non mi chiesi più come facesse a saperlo.
-          A bordo della vostra nave c’è un essere in forma tentacolare.
-          Ma come... – Appoggiai la mano sulla bocca di Serel: volevo che stesse zitta, volevo ascoltare.
-          Siete crudeli con lui, lo tenete imprigionato sotto una cupola. E’ una forma di intelligenza, anche se diversa dalla vostra e soffre perché lo private della libertà.
-          Senza di noi sarebbe morto – rispose Serel – quella cupola lo protegge: per la sua natura non sopravvive entro un campo gravitazionale.
-          Donna, tutto fa parte di un grande disegno. Credetemi a voi viene chiesto di vivere, quello soltanto. Ma se non imparate, la vostra vita sarà trascorsa inutilmente.
-          Ma cosa dobbiamo imparare? – Chiese stupita, Serel.
-          Dovete imparare ad amare!
Serel scosse la testa.
-          Nelle acque impetuose di un fiume anche i più piccoli pesci nuotano, mentre un elefante, benché grosso e possente, vi perirebbe. Un insignificante pesciolino è in grado di godersi la vita fra le acque tumultuose di un fiume, mentre un potente elefante non ne sarebbe capace! Vi siete mai chiesti perché questo paradosso? Ciò che serve per stare in acqua, è il saper nuotare. Se non imparerete ad amare, non sopravvivrete. La vostra scienza non vi servirà, non è il sapere che vi viene richiesto, ciò che serve per vivere, è l’amore. Il vostro Universo, così come voi lo conoscete, sta per scomparire.
-          Ti riferisci alla Cosa? Sai come fermarla?
-          Non sarà fermata.
-          No, no, sento che non morirò, io non morirò!
-          Ma io sì. – rispose Serel rattristata – le sue parole mi hanno aperto la mente, ora ne sono certa!
-          Sciocchezze! - Gli gridai, ma ero in preda alla disperazione più profonda: Qualcosa, dentro di me diceva che era vero.
-          Non morirai, non morirai! – Continuavo a gridare più per convincermi che per convincerla.
Uno degli uomini del Maestro si era svegliato e accortosi di noi, con meraviglia e anche con timore, si stava avvicinando.
-          Non c’è più tempo, dovete andare, ora.
-          Ma, non ci hai detto ancora nulla!
-          Volete tornare? Allora liberate quell’essere tentacolare.
-          Il crisomo? Maestro, lo abbiamo lasciato che stava morendo, nelle sue condizioni non ci sarà d’alcun aiuto.
Mi fissò dritto negli occhi. Nel suo sguardo, intenso e puro come quello di un bambino, mi sentii sprofondare. Capivo che mi era concesso un grande onore: chissà quanti uomini e donne, in futuro, avrebbero desiderato ardentemente incontrarlo.
-          Adam, hai fede in me?
-          Sì... ho fede in te.
-          Allora va e fa quello che ti ho detto.
Intanto il suo seguace, timidamente, si era avvicinato e aveva scambiato con lui qualche parola. Senza dir nulla, preso in mano il suo pendaglio a forma di sacchetto, si concentrò, così come avevo visto fare a Delfina. Fummo avvolti in una cortina simile ad una nube e quando questa si dissolse, ci ritrovammo tutti in volo, a bordo dell’aereo.