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mercoledì 28 dicembre 2011

LETTERE DAL FRONTE

 
 
  

la storia di Oreste, 23 anni di Benevento, meccanico partito soldato finito in manicomio.

Uno dei troppi militari che vennero ricoverati tra il 1915 e il 1920 in un istituto veronese. La vicenda narrata nel libro di Maria Vittoria Adami dal titolo ”L’esercito di San Giacomo”. Le lettere toccanti scritte alla madre e al direttore dell’ospedale


C’era una volta un manicomio e lì venivano rinchiusi i soldati feriti alla psiche durante la prima guerra mondiale. Si trovava a Tomba, una zona periferica di Verona, oggi divenuta un quartiere che ospita l’ospedale universitario di Borgo Roma. In quel luogo di “pazzi”, intitolato a San Giacomo, fu ricoverato Oreste De Angelis nel 1917. Era un militare di Benevento, aveva 23 anni, veniva dal fronte, dalle trincee della Val d’Adige e dell’Altopiano di Asiago. Erano posti in cui impazzire era il minimo che potesse accadere a quei ragazzi che affrontavano corpo a corpo altri giovani come loro e che vedevano i loro commilitoni dilaniati dalle bombe che fracassavano i timpani. Prima di andare in guerra così lontano, Oreste faceva il meccanico a Benevento. Quando entrò nel manicomio, il medico scrisse che era in uno stato maniacale e che aveva bisogno di cure. Rimase a San Giacomo per 68 giorni e poi fu dimesso. In quei due mesi e poco più, scrisse due lettere, una alla madre e l’altra al primario del manicomio. Negli scritti di Oreste, in un italiano sgrammaticato e apparentemente senza un filo logico, c’è lo struggente racconto dell’orrore della guerra e un tentativo di tranquillizzare sua madre Luisa, rimasta a Benevento dove aveva messo al mondo quel figlio nel lontano 1894. Così le scriveva Oreste in una lettera datata 29 luglio 1917.



"Carissima mamma.

Ho ricevuto la lettera indirizzatola alla sezione, ora però trovami ricoverato in una casa di salute, la quale dista pochi Km da Verona, il paesello chiamasi Tomba. Riguardo alla famiglia ho rimasto contento a sentire che vi trovate tutti bene di salute, ma dolendo sono della sorta toccata ad Eugenio povero ragazzo! Con tutti i suoi studi, oltre che la professione di meccanico e stato inviato in fonderia, basta cara mamma le cose che ho visto a soldato sono state troppo, per Dio se fosse stato figlio di quale conte ecc. avrebbe avuto anche lui la fortuna di comandare qualche reparto Automobilista. Di queste facende non te ne voglio più parlartene, solo ti raccomando di fare il conto che il tuo figlio Oreste non esiste più. Ho preso questa decisione per alcuni vigliacchi d’ufficiali che mi hanno offeso, oltre che mi hanno inviato in una casa di salute, per fare in modo che domani se dovessi parlare mi calcolano come pazzo.

Non credere che sono malato; dal fisico non manca niente n’anche dalla testa perché il Dottore di questo Istituto dice sempre che il male esiste nel cranio, viceversa non sento niente, ora che posso assicurarti personalmente colla testa col cuore che mi sugerisce, oltre la mano che muova la penna. Cara mamma e la seconda volta che mi capita andarci sotto a queste perizie, la prima in pochi giorni fui rilasciato, ma la seconda forse mi faranno fare anche il resto della prima, per dirta la verità a me non dispiace, perché essendo una vita ???, piutosta di fare un’ora di soldato ne preferisco farci trent’anni tanti qui come in carcere per m’è lo stesso. Non ci capisco più niente che mondo e questo oggi giorno l’individuo non è padrone n’anche piu di se stesso, a me sembra che siamo ancora in una epoca ch’esistevano i schiavi quando colla forza obliavano all’uomo a fare cosa loro volevano.

Cara mamma non è vero che si combatte per la nuova civiltà, che se l’avrei saputo prima tutto il tempo fatto a soldato l’avrei passato in qualche carcere. Da retta mamma spero il Dio che venissero i Tedeschi in Verona così potrei andare fuori, e se per caso vencono in Benevento quel piatto che doveva prepararlo per me mettelo davanti qualche soldato Tedesco che vedrai che sono le più civile persone che te non avevi mai visto. Se i giornali l’hanno descritto questo popolo come malvagi non crederci, perché ho vissuto quasi un’anno con loro, e ho visto che anche il nostro comando civile militare gli ha tolto per fine il letto e per rincompensa gli hanno risposto siamo in tempo di guerra, con questo voglio dirti che anche il nostro esercito civile ha fatto delle cose che il buon Dio non l’ha mai predicato. Gli auguro mille accitendi a chi mi fa passare questa vita, d’altronde non è tanto male; e come vivere in un carcere. Non mi resta che abbracciarti col pensiero e inviandoti tanti baci e tutti di casa comprese la Gina.

Tuo figlio Oreste.


Dalla descrizione fatta dei tedeschi, sembra che De Angelis abbia disertato oppure che, per una ragione sconosciuta, si sia trovato dall’altra parte della barricata e abbia trascorso un anno con il nemico. I disertori erano solitamente destinati al manicomio (quando venivano ripresi) ed è probabile che Oreste sia fuggito per il trattamento subito dagli ufficiali italiani al fronte. Questa ipotesi può reggere di fronte alla lettera scritta al primario del manicomio di San Giacomo e nella quale il meccanico di Benevento si dichiara innocente. Ecco il testo.


"Signor Primario

con queste due righe mi rivolgio a lui che facia la gentilezza di sbrigliarmi al più presto possibile perché io sono innocente di tutto quello che hò fatto al fronte quella lotta me lanno fatta fare loro ma intanto io non ci hò fatto del male a nessuni ma loro a me mi anno battuto e mi anno gettato per terra e mi anno legato e crocefisato e dopo con due sentinelle armate a guernare un morto che io non aveva piu voce da parlare dei colpi che mi avevano dato ma pazienza che vuoi fare io prendo tutto per buono non hò mai parlato, perché non potevo più e mi mancava la voce. Ma però io i miei superiori li ho sempre rispettati tutti ma loro verso di me nò perché mi punivano sempre severamente con il torto ma che vuole, Signor dottore è così c’è stato anche il Colonello alla caserma che mi à trattato male ma pazienza io non hò mai parlato e lui sarà stato premiato e io mi trovo qui come un can bastonato io si che meriterei il premio è il grad no e dopo c’è anche Il Magiore che comandava il mio bataglione etutta la mia compagnia che no puol parlare di me. Io Prego per piacere anche il Diretore di mettermi presto in una buona strada o farmi passare alla croce rossa se pretendo ancora o lesercito che mi a qualche deposito. altrimenti che mi mandano a casa mia in covalicenza come chiedono loro di sbrogliarmi al piu presto e basta mi tocca lasiarvi perché è ora del cafè e il capo mi guarda."


Nei capitoli di Maria Vittoria Adami c’è un’umanità dolente, trascurata troppo spesso dalle storie delle guerre che tendono a raccontare più gli atti di eroismo che le sorti dei soldati. Nella sezione “Il pensiero della famiglia”, la ricercatrice scrive: “Molto spesso il pensiero della moglie e dei figli lasciati a casa da soli o dei genitori da aiutare nei lavori agricoli era un chiodo fisso che si sviluppava poi nell’ossessione vera e propria sulla quale si incentrava il delirio del soldato. Le riforme negate, le punizioni, l’internamento negli ospedali allontanavano sempre più dalla mente dei soldati l’ora del ritorno, contribuendo ad accrescere l’ansia e l’angoscia di non poter mai più raggiungere casa”. Oreste fu dimesso perché ritenuto guarito dopo il trattamento sanitario. Come lui, anche altri soldati ritenuti malati psichici lasciarono testimonianze sul conflitto. Ma erano davvero pazzi?
Un’ulteriore testimonianza dell’assurdità e della barbarie della guerra, di come viene gestita dal potere e soprattutto di come viene subita, sempre dalle stessi classi, da quel popolo che perde e disperde, fisicamente e psicologicamente, i suoi figli, il suo bene più prezioso. Onore alla brava giornalista che, coraggiosamente, ne ha toccato un aspetto drammatico e spesso taciuto come quello dell’incapacità di fronteggiare “l’uccidere per obbligo” e il conseguente scoppio della follia o presunta tale.

giovedì 1 dicembre 2011

Ricordo a tutti che dal 7 all'11 dicembre la nuova antologia, contenente il racconto Siduri, sarà presentata alla fiera Più libri più liberi a Roma, stand H17. In quest'occasione l'antologia sarà in vendita al prezzo scontatissimo di 10 euro, quindi chi volesse approfittarne può passare al nostro Stand! Inoltre diffondete la voce il più possibile.


Il 15 dicembre alle ore 19 alla libreria books and brunch a Roma (Via Saluzzo, zona San Giovanni) si terrà la presentazione dell'antologia.
In serata, al costo di 24 euro sarà possibile cenare e avere una copia dell'antologia.

mercoledì 23 novembre 2011

domenica 5 giugno 2011

SIDURI


 


Siduri è la protagonista del racconto omonimo inserito nell'antologia "PAESAGGI LETTERARI" pubblicata da Historica. Nella mitologia sumerica Siduri era "la fanciulla che fa il vino": sorta di locandiera mistica che somministrava all'eroe di passaggio una bevanda, il vino appunto, che ancor oggi rientra nei riti più sacri. Il nome doveva essere molto diffuso se, com’è probabile, i Sumeri adottavano, i nomi dei loro idoli così come facciamo anche noi oggi, quando, battezzando i nostri figli gli diamo i nomi dei santi e dei personaggi famosi. Quindi, la Siduri di cui narra un intero capitolo del romanzo "Il signore delle aquile" non ha nulla a che fare con la locandiera del poema di Gilgamesh. Voglio far presente che "Il signore delle aquile" non è un romanzo del genere fantasy, come potrebbe far supporre il nome, non è neanche un romanzo puramente storico poiché ho voluto inserirvi degli elementi leggendari. E’ la saga di Odakon; ambientata in un’epoca remota, in cui l’umanità usciva faticosamente dall’età della pietra per entrare a pieno titolo in quella del bronzo.



Mi accorsi subito che potevo separare questo capitolo dal resto del libro per dar vita a un racconto. Operazione non sempre facile ma, in questo caso, molto ben riuscita. Sì, perché non vi ho proposto la banalità del “romanzo diffuso”, Siduri non è una “puntata” del Signore delle aquile; è un racconto vero, dotato di un proprio corpo. Vi si narra la storia, tragica, di una ragazza che ha ricevuto un dono dal cielo: la bellezza. E di come questo dono la conduca, non certo per colpa sua, a una condizione di schiavitù. Non ci sono allegorie, niente a che vedere con moderne storie di “veline” o di modelle anoressiche, anche se, ne sono convinto, pure in questo caso c’è una forma di schiavitù, se non proprio coattiva, almeno mentale. Tuttavia, Siduri ci appare come una donna moderna in quanto non risponde appieno ai canoni della sua epoca. Non è una donna ubbidiente e sottomessa, una donna che accetta e sopporta tutto solo perché è donna. Siduri ha ambizioni, Siduri si ribella, Siduri agisce. Infatti, è lei che, contravvenendo agli usi del tempo, va a chiedere aiuto al valoroso Khubaba. Siduri non si sottomette: anche da schiava conserverà sempre uno spirito libero, scevro da ogni rassegnazione. Magari non è una donna colta ma è intelligente, anzi, più che intelligente è astuta: opta delle scelte precise e oculate. Riuscirà a sfuggire alle brame di Shamash, il suo padrone, sfruttando a suo vantaggio la gelosia della moglie. Anzi, sarà proprio quest’ultima che, per allontanarla dalla sua casa, la manderà, come serva, al seguito di Odakon; concedendogli proprio ciò che lei voleva più d’ogni altra cosa. Ma questa, è un’altra storia.

martedì 24 maggio 2011

“Il poeta muratore” di Antonio Cipolletta - Raccolta di poesie edite da C.I.C.S.

Antonio Cipolletta, di professione muratore, avrebbe voluto studiare. Avrebbe voluto farlo non tanto per, come dire, sistemarsi, per accedere a quel posto fisso tanto ambito oggi come allora. Lui, a differenza di tanti altri, era affamato di cultura, di quella cultura autentica che, in verità, scarseggiava sugli scanni dei muratori. Traspare dalle sue poesie, quella voglia di sapere rimasta insoddisfatta. Ma se davvero ha studiato poco, se davvero è andato così poco a scuola, c’è da dire che nessuno ha fatto tanto con così poco. Sotto le spalle del giovane muratore batteva il cuore di un poeta, di un poeta vero che, con il tempo, pésfizie e pédispiett d’o passate è venuto fuori. Il poeta muratore è un libro che ci racconta di uomini che amano le piccole cose della vita. Le sue poesie, infatti, descrivono, con una freschezza unica, tutte le fasi dell’esistenza, dalla nascita alla morte, passando attraverso l’adolescenza, la maturità e la vecchiaia. Sono esperienze di vita vissuta, narrate con uno stile efficace, a tratti anche un po’ ingenuo. Nei suoi racconti ci si può immedesimare perché hanno tutta la forza della poesia vera, hanno dentro lo spirito di un uomo che, svincolato dalle fatiche di una vita, si sottopone a uno scrupoloso riesame. Perché la vita non sempre è come la vorremmo: si raggiungono alcuni traguardi, altri vengono mancati. Tuttavia, non c’è rammarico nelle sue poesie, anche le vicende più tristi sono narrate come semplici ricordi, poiché con il tempo le emozioni svaniscono e di quelle vicissitudini rimangono solo le memorie. Resta la fede, quella sì che rimane. Quella fede senza la quale un uomo si potrebbe smarrire nell’intrigo dei rimpianti, della nostalgia, delle avversità del destino. Se si ha fede, i nostri cari non scompaiono nell’Ade. Così, per Cipolletta, i figli diventano angioletti, l’anima dialoga con i viventi, trasmette forza e coraggio. Questo ci racconta Antonio Cipolletta. Lui sa raccontarlo e questo è un dono. Sa dirlo meglio di tanti altri, sa tradurlo in versi, sa comunicarlo al lettore con quello stile semplice che gli si addice, gradevole ed efficace.